Possibile retromarcia sul decreto Staminali

Il Sole 24 Ore
Manuela Perrone

Un nuovo più insidioso “caso Di Bella” preoccupa le forze politiche: stavolta è il metodo Stamina ideato da Davide Vannoni ad agitare il Parlamento, che potrebbe rimettere di nuovo mano al decreto legge in materia dell’ex ministro della Salute, Renato Balduzzi, varato dal Senato in prima lettura il 10 aprile e in “scadenza” il 25 maggio. Ieri in commissione Affari sociali della Camera è ripreso l’esame del testo (lo stesso che prevede anche la proroga degli ospedali psichiatrici giudiziari) con una serie di audizioni, tra cui le massime autorità sanitarie del Paese: Istituto superiore di sanità, Agenzia italiana del farmaco e Centro nazionale trapianti. Compatte sul “no” al metodo, come il resto della comunità scientifica nazionale e internazionale, che non ha gradito l’avallo, oltre che alle terapie già in corso, a ulteriori sperimentazioni cliniche per 18 mesi presso strutture pubbliche concesso dal Dl nella versione modificata dal Senato.

Ultimi a chiedere al Parlamento di non convertirlo in legge sono stati l’Accademia dei Lincei e 12 tra i principali centri di ricerca italiani. Durissimo Luca Pani, direttore generale dell’Aifa: «Si usa una cosa tutta uguale per tutte le malattie: questo si chiama olio di serpente». «È evidente la non legalità di quello che sta accadendo a Brescia (dove è in cura la piccola Sofia, ndr)», ha chiarito Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti, al quale il decreto affida la regia delle sperimentazioni. Per Nanni Costa non c’è dubbio che le cellule staminali mesenchimali usate da Vannoni siano farmaci (non trapianti) e che come tali vadano trattate. Per Patrizia Popoli, dell’Iss, «non ci sono prove dell’efficacia del metodo Stamina, solo le dichiarazioni dei genitori». Fuorviante, a suo avviso, parlare di «cure compassionevoli», tali soltanto se «già sottoposte a studi di fase 2». Vannoni ha reagito accusando le istituzioni di «fare catastrofismo per giustificare la negazione delle cure a 18mila persone». Ma la vicenda Di Bella è troppo recente per non essere ricordata. Identico il copione: la scienza da una parte, le famiglie dall’altra. In mezzo la politica, che deve decidere.