«Sperimentazione su Stamina va fermata»

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Laura Cuppini

MILANO – «Il decreto Balduzzi nella versione licenziata dal Senato permetterebbe di coltivare cellule staminali mesenchimali in condizioni non sicure per i pazienti e a un costo per Stamina e i suoi finanziatori molto più basso di quello standard, che è di 30mila euro a paziente. Questo sarebbe il corollario dell’emendamento che riclassifica le terapie cellulari come trapianti». Il testo approvato dal Senato e ora all’esame della Camera sul cosiddetto metodo Stamina comporterebbe quindi dei rischi per i malati, e dei vantaggi per i finanziatori, secondo Paolo Bianco, professore di Anatomia e istologia patologica e direttore del Laboratorio staminali del dipartimento di Medicina molecolare alla Sapienza di Roma. Il problema, spiega con molta chiarezza il professor Bianco, è che le staminali che sono coltivate in vitro, e modificate in vitro, e ipoteticamente collocate in organi diversi da quelli a cui fisiologicamente appartengono (in questo caso, il cervello invece dell’osso) devono essere trattate come “medicinali”. I “medicinali” per terapie avanzate sono sottoposti a specifica normativa (distinta da quella sui trapianti) come prevede il regolamento 1394/2007 dell’Unione Europea, che ha valenza di Legge dello Stato negli stati membri della Ue; invece, nel testo del decreto la terapia proposta da Stamina è stata riclassificata come “trapianto”. «Questo non c’era nella versione originaria del decreto, è stato introdotto durante l’esame al Senato. Trattare la terapia a base di staminali mesenchimali come trapianto e non come farmaco è esattamente quello che vuole Stamina».

SPERIMENTAZIONE – Come risolvere il problema? «Non è possibile avviare un trial clinico controllato su una terapia con cellule prodotte in condizioni di non sicurezza e con protocolli ignoti (non esiste nessuna descrizione scientifica del presunto “metodo Stamina”, né esistono brevetti). Non è possibile una sperimentazione in cui la stessa “terapia” viene usata in modo identico su 18mila pazienti con centinaia di patologie diverse. Perché una sperimentazione clinica sia utile a stabilire se qualcosa funziona davvero, va chiarito in modo dettagliato qual è la popolazione cellulare, come la si prepara, quali e quanti pazienti vengono trattati, con quali malattie, per quale motivo, con quali obiettivi, con quali misure ex post, e quale sarà la valutazione terza. Ogni patologia è diversa, e richiede trial diversi». Ma chi paga la produzione delle cellule utilizzate nelle terapie di Stamina? «Chi paga è Stamina stessa, che ha però uno sponsor commerciale – puntualizza Bianco – che avrebbe acquisito in esclusiva il “know how” di Stamina. Lo sponsor commerciale dovrebbe, come in ogni sperimentazione trasparente e utile, sostenere i costi della sperimentazione. Coltivare cellule per uso clinico costa almeno 30mila euro a paziente. Moltiplicando per 18mila fa 540 milioni di euro. Forse per questo Stamina e il suo sponsor commerciale insistono per considerare il trattamento un trapianto: così facendo, ovvero eliminando le precauzioni a tutela del paziente che la legge prescrive, i costi si abbattono, ma la tutela del paziente anche. Inoltre, è prevedibile che di fronte a 18mila pazienti da trattare, sarebbe richiesto un contributo dello Stato per coprire i costi dei cosiddetti “trapianti”. Del resto, Stamina ha già indicato che un contributo dello Stato sarebbe necessario (vedi la pagina Facebook della Fondazionendr)».

EFFETTI COLLATERALI – «Dubito che il SSN, a rischio di default immediato, possa permettersi di pagare l’impiego indiscriminato e massivo di terapie inefficaci e non sperimentate adeguatamente. L’applicazione del “trapianto” su un astronomico numero di pazienti viene fatto passare per “sperimentazione”, ma non è nulla del genere. Nel mondo – conclude il professor Bianco – sono in corso 320 trial ufficiali su staminali mesenchimali, 7 in Italia. Le cellule, come i farmaci, hanno degli effetti avversi, che si individuano (come del resto i benefici) solo con studi clinici controllati. Uno degli effetti collaterali delle infusioni di staminali mesenchimali si chiama Ibmir, Instant blood-mediated inflammatory reaction, in rarissimi casi è letale ma in tutti i casi ha la conseguenza che le cellule muoiono. Questo effetto collaterale delle infusioni di mesenchimali non era conosciuto prima del 2012 ed è stato accertato appunto con sperimentazioni cliniche controllate. Gli stessi benefici presunti non si accertano con la somministrazione nel caso singolo, neanche se i casi singoli diventano, paradossalmente, 18mila. Si accertano con trial clinici disegnati in modo pianificato e intelligente».

«MANCA RISPETTO DEI MALATI» – «Questa sperimentazione va fermata». Non ci sono compromessi possibili per Alberto Mantovani, docente di patologia generale all’Università degli studi di Milano, direttore scientifico di Humanitas e il ricercatore italiano più citato nella letteratura scientifica internazionale. Il decreto Balduzzi sul cosiddetto metodo Stamina prevede l’avvio della sperimentazione della cura tramite il trapianto di cellule staminali mesenchimali per i pazienti affetti da gravi patologie. «Mi auguro che questa vicenda venga fermata nell’interesse dei pazienti, presenti e futuri – prosegue Mantovani -. Siamo di fronte a decisioni non rispettose dei malati, al di fuori di qualunque buona pratica di ricerca e di qualunque pratica clinica». Per Mantovani i punti critici sono molti: la mancanza di qualsiasi rigore scientifico da parte della Stamina Foundation, il mistero dei brevetti sul metodi Stamina firmati da una donna (Erica Molino) mai comparsa in pubblico, lo scandalo dei soldi che verrebbero utilizzati per la sperimentazione (si ipotizza una cifra tra i 500 milioni e il miliardo di euro) in tempi di tagli alla Sanità in cui in molti istituti di ricerca si fa fatica a portare avanti studi importanti, il via libera da parte del Comitato Etico «senza che vi fossero all’interno del Comitato stesso competenze specifiche». Una brutta vicenda, in cui «gli esperti non sono stati consultati».

TERAPIE CELLULARI – «Possiamo ragionare sui problemi veri – conclude Mantovani -, che sono la regolamentazione delle terapie cellulari, una importante frontiera molto vasta. Le norme europee che trattano le cellule come farmaci devono essere modificate: per le cellule serve lo stesso rigore richiesto per i farmaci, ma si tratta di due procedure diverse». Infine, Mantovani fa una riflessione sulle sperimentazioni cliniche: «Spesso quando uno studio è in corso si ha l’impressione di avere dei benefici, anche quando benefici reali non ci sono. Poi in ogni sperimentazione si producono dati oggettivi che vengono sottoposti a esperti indipendenti. Queste sono le regole e in questo caso non sono state rispettate. Trovo gravissima la mancanza di rispetto nei confronti dei malati: pensiamo solo ai laboratori di terapie cellulari di Monza e Bergamo, finanziati dai pazienti: lì vengono prodotti risultati scientificamente validi e sono di tutto rilievo».

«VIOLATE NORME EUROPEE» – Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, parla di un «decreto che mira a creare un precedente pericoloso e gravissimo per la scienza e per tanti malati che sperano in una cura per malattie purtroppo ancora incurabili». «Le infusioni con colture di cellule mesenchimali non sono trapianti – prosegue Gallo -. In Italia e nel resto del mondo tutte le terapie cellulari che prevedono la coltura in vitro sono identificate come terapie avanzate e le relative colture cellulari sono identificate come “medicinali”, sotto il controllo delle Agenzie del farmaco. Violando le norme europee, trasferendo la competenza al Centro Nazionale Trapianti, a nulla serve scrivere che “la sperimentazione” non è valida ai fini dell’autorizzazione al commercio, perché la differente qualificazione determina che non avremo più farmaci con immissione in commercio ma uso routinario di tessuti. Nel caso specifico di colture di tessuti a un costo elevatissimo che non si basa su evidenze scientifiche, sui possibili risultati. Chiediamo pertanto che: l’uso “compassionevole” delle terapie sia previsto come prescritto dalle norme in vigore solo in presenza di idonea documentazione approvata dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco); sia garantita la lavorazione di cellule in laboratori vigilati da Aifa; sia chiarito che risultano erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale, ed esigibili come prestazioni assistenziali, solo quei medicinali per terapia cellulare avanzata che abbiano ottenuto validazione scientifica e siano stati approvati per l’uso clinico in quanto sicuri ed efficaci».