Gli scienziati invocano trasparenza e sicurezza

Corriere della Sera
Elena Meli

Da una parte genitori disperati di fronte a malattie senza scampo e pronti a tutto pur di aggrapparsi alla più fievole luce di speranza. Dall’altra medici e ricercatori che dicono che il metodo Stamina non ha dimostrato di essere sicuro né efficace. In mezzo dichiarazioni di politici e personaggi pubblici, provvedimenti di tribunali e l’ondata emotiva che ha travolto il Paese. Per fare chiarezza abbiamo chiesto a tre specialisti con lunga esperienza di ricerca e di cura nel campo delle staminali di rispondere alle domande che molti italiani si pongono: Paolo Bianco, direttore del laboratorio cellule staminali al Dipartimento di medicina molecolare del l’Università La Sapienza di Roma; Bruno Dallapiccola, genetista, direttore scientifico del l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, coordinatore del progetto Orphanet Italia sulle malattie rare; Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (Hsr-Tiget) di Milano.

 I trattamenti con cellule staminall sono pericolosi? Naldini: «Il primo rischio, sia con le cellule prelevate dal paziente stesso (autologhe)  sia con quelle donate da un altro (eterologhe), è la possibilità di infezione: diversamente dai farmaci le cellule non possono essere sterilizzate, ad esempio per irradiamento, e se veicolano germi possono dare infezioni anche fatali. Se sono eterologhe esiste il pericolo di rigetto: nel migliore dei casi l’organismo le elimina, così i benefici possibili saranno limitati se non nulli; se per ridurre la probabilità di rigetto si danno farmaci immunosoppressori aumenta la vulnerabilità del paziente alle infezioni; inoltre, facendo più di un inoculo esiste la possibilità che il sistema immunitario, sensibilizzato con la prima iniezione alle cellule o a contaminarti presenti nei liquidi usati per coltivarle, con i trattamenti successivi dia luogo a una reazione violenta, fino a uno shock anafilattico anche fatale. Il terzo rischio è biologico, a lungo termine: alcuni tipi di cellule staminali cresciute in modo inappropriato possono dare luogo a tumori».

Che senso ha parlare di effetti collaterali se si tratta di arrivare fino al giorno dopo? Naldini: «Qualunque paziente, anche nelle condizioni più compromesse, ha la dignità e il dirigo di ricevere una terapia che sia tale e almeno non sia dannosa: prima di somministrare un trattamento, come quello del metodo Stamina, sono necessarie non solo garanzie sulla sua sicurezza, ma anche informazioni sul tipo di beneficio atteso». Dallapiccola: «Capisco la disperaziore dei genitori di bambini con pochi mesi di aspettativa di vita: vogliono provare il tutto per tutto, non importa che cosa, l’importante è tentare ogni strada. Me lo sento ripetere spesso: a mamme e papà basta sapere che qualche bimbo l’ha fatto senza che ci siano stati grossi eventi avversi per voler tentare, e li comprendo. E difficile far capire perché non si può procedere senza regole, ma una cura non si trova fidandosi delle sensazioni di miglioramento riferte dai genitori. Mi capita continuamente di dover spiegare alle mamme verità dolorose, ma se si espongono i fatti come stanno capiscono, non cercano speranze inverosimili: se un cervello è alterato in miniera irreversibile, oggi ncn abbiamo nulla che realisticamente può cambiare la situazione. Purtroppo su questi argomenti c’è stato un tam tam di informazione da parte di chi non conosce in dettaglio i temi in gioco, ora è arduo discuterne in maniera serena e togliere dalla testa del pubblico idee fuorvianti».

Qualunque genitore scommetterebbe tutto sull’unica speranza che resta a un figlio: come è possibile negargliela, che cos’ha da perdere? Naldini: In condizioni gravi si può essere disposti ad accettare rischi elevati, ma ci deve essere la prospettiva concreta di un beneficio, che in casi come questo non sembra verosimile. C’è poi anche un altro piano, al di là dei singoli: se le cellule staminali sono una promessa concreta dobbiamo condurre sperimentazioni corrette, perché altrimenti anche se funzionano potremmo non accorgercene e non avere dati solidi per dimostrarlo. Inoltre, bruciando i tempi si rischia di andare incontro a eventi avversi che potrebbero bloccare tutti gli studi e allontanare i finanziamenti da questo settore. Siamo parte di una comunità: può sembrare cinico, ma il dramma del singolo, quando la medicina non ha una risposta per lui, se affrontato nel modo corretto può almeno beneficiare chi verrà dopo». Bianco: «Nessuno nega alcuna speranza. Gli scienziati e tutti gli organismi regolatori negano che si possano somministrare, come se fossero terapie, cose che sfuggano alla obbligatoria vigilanza medica, tecnica e scientifica. Le cosiddette terapie compassionevoli non fanno eccezione, in nessuna parte del mondo. Nessuno nega ad alcuno di sperimentare in modo ragionevole, prudente e vigilato; nessuno nega ad alcuno di accedere, da paziente, a cose che siano ragionevoli, prudenti e vigilate. Per le patologie di cui si sta parlando in questi giorni non esistono rimedi comprovati, ma esistono sperimentazioni trasparenti, ufficiali e vigilate. Come facciamo a stabilire che non siano piuttosto queste, invece dei metodi di cui si parla ma non si sa nulla, la speranza?».

  Perché la scienza ò così scettica su Stamina? Naldini: «Perché non sappiamo di cosa stiamo parlando: che cellule sono, come vengono coltivate, come e se vengono differenziate. Brevettare alcuni passaggi di un metodo può anche starci, ma la linea generale di intervento va resa nota e condivisa». Bianco: «Stiamo parlando di malattie terribili e letali. Se il metodo fosse una cura reale o anche solo parziale o temporanea per questi bambini, non dovrebbero accedervi solo Federico o Sofia, ma tutti i malati come loro, ovunque nel mondo: anche a Tokyo avrebbero lo stesso diritto di essere trattati. Ma sarebbe possibile solo se i dati di Stamina fossero pubblicati, se gli altri medici sapessero in che cosa consiste il trattamento e potessero riprodurlo. I ricercatori non vanno contro i pazienti a favore di chissà quali interessi occulti; se la Fondazione Stamina spiegasse che cosa stanno facendo e le basi razionali e scientifiche per cui la loro cura potrebbe funzionare, tutti noi li staremmo a sentire: avremmo dati su cui discutere, potremmo capire se e come fare sperimentazioni regolamentate. In questa situazione invece c’è qualcuno che dice “ho il rimedio, voi ci dovete credere”: la medicina non funziona così».

Allora le cellule staminali non sono una vera promessa della medicina? Bianco: «Si è diffusa l’idea sbagliata che le staminali siano un rimedio universale, dotate di potere taumaturgico per qualunque male. Non è così. Le cellule staminali sono di fatto già in uso da anni, e con straordinario successo, per i trapianti di midollo osseo, nella cura delle ustioni e nella rigenerazione della cornea; tra poco forse sarà possibile ricostruire l’osso. Il resto però richiede verifiche, studi e tempo. Sulla base di ciò che sappiamo oggi delle staminali e delle specifiche malattie trattate con il metodo Stamina credo non sia ragionevole aspettarsi risultati terapeutici, ma se ci fossero saremmo i primi a gioirne. Peraltro sono malattie molto diverse fra loro, che non hanno in comune nulla: come può uno stesso piano terapeutico andare bene per tutte?». Naldini: «Le staminali forse potrebbero davvero rigenerare tessuti diversi, ma ci stiamo lavorando e non sappiamo se sia realmente possibile. Per il momento riteniamo che le cellule inoculate per una terapia di staminali debbano saper fare ciò che serve: se è il sistema nervoso a essere degenerato, devo iniettare staminali neuronali per sperare che funzionino e non cellule staminali mesenchimali (quelle che dovrebbero essere coinvolte nel metodo Stamina, ndr) che producono tendini, tessuto fibroso e forse osso e cartilagine. Utilizzare le mesenchimali, per quel che sappiamo oggi, potrebbe ridurre l’infiammazione dove ci sono le lesioni, ma l’effetto sarebbe comunque modesto perché in queste malattie il problema è la degenerazione dei neuroni, e l’infiammazione è un corollario». Dallapiccola: «A oggi è impensabile riuscire a ricostruire un cervello danneggiato e i dati pubblicati finora su cinque casi di atrofia muscolare spinale trattati in Italia, sebbene con un protocollo diverso da Stamina, sono negativi (i risultati, usciti a novembre su Neuromuscular Disorders, sono stati raccolti a Trieste; due bimbi sono morti e tre non hanno avuto miglioramenti, ndr)».

  I genitori dei bambini trattati con il metodo Stamina dicono di avere visto benefici tangibili: non vale la pena provare anche solo per questo? Bianco: «Possiamo escludere un effetto placebo nelle mamme? Esiste anche per i ricercatori, che tendono a vedere i risultati nell’ottica della loro ipotesi. Per affermare che una terapia funziona non sono sufficienti le impressioni dei genitori, bisogna che la testino terze persone non siano coinvolte emotivamente». Per le sperimentazioni cliniche occorre tempo, e questi bimbi non l’hanno. Perché negare loro un tentativo attraverso le cure compassionevoli? Bianco: «C’è un grosso equivoco su che cosa siano davvero le terapie compassionevoli. Secondo la definizione della Food and Drug Administration statunitense, recepita anche in Europa, lo sono cure attualmente in sperimentazione ufficiale per lè quali siano noti dati di sicurezza, che possono essere erogate in casi singoli a titolo gratuito. Quindi, una cura compassionevole indica proprio che la terapia sia in fase di sperimentazione controllata. Le terapie o sono consolidate, o sono sperimentali, altrimenti non sono terapie. Sarebbe una cura compassionevole anche il metodo Stamina se i responsabili avessero depositato i protocolli e chiesto l’autorizzazione a svolgere uno studio clinico sotto la sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità». La storia della medicina piena di scoperte che sono state osteggiate: da Jenner che sperimentò il vaccino antivaloloso sul figlio disobbedendo alla comunità scientifica a Semmetwels, lasciato al margini della medicina per aver detto che le puerpere morivano per colpa del germi sulle mani degli ostetrici. Sta accadendo anche oggi? Naldini: «Le regole che si è data la medicina occidentale servono anche a evitare che si ripetano casi simili, perché un’intuizione possa essere dimostrata e un risultato importante non rimanga taciuto. Le idee non convenzionali trovano resistenze, certo, ma per questo devono essere pubblicate: se sono buone, prima o poi vengono fuori, nonostante il sistema della revisione scientifica non sia perfetto». Ma perché serve così tanto tempo per arrivare alle risposte: non si può accorciare i tempi? Naldini: «Per arrivare a conclusioni sensate dobbiamo sempre sapere qual è il decorso naturale della malattia e confrontare quello che accade con gli effetti dell’ipotetica cura: in caso di patologie rare, che riguardano pochi pazienti, è ancora più difficile farlo rispetto al solito. Chi però accusa i ricercatori di non lavorare per i pazienti sbaglia: non è vero che non si sono avuti risultati, alcune malattie rare oggi si possono curare. E non è vero che dietro ci siano complotti dell’industria farmaceutica: le malattie rare attraggono di certo minori investimenti, ma se le aziende capiscono che una cura è possibile aiutano a svilupparla e ci sono già casi virtuosi (per Ada-Scid, una grave forma di immunodeficienza, i ricercatori Telethon hanno individuato e sperimentato una terapia genica che diventerà presto un «farmaco» in commercio grazie a una ditta farmaceutica, ndr). Chiunque di noi soffre pensando ai bambini malati: non abbiamo risposte tangibili per la loro tragedia, ma non possiamo per questo autorizzare qualsiasi cosa come fosse una terapia. Anche perché questi trattamenti hanno un costo che ricade sulla comunità: può sembrare brutale nei confronti del singolo, ma dobbiamo disciplinarli». Dallapiccola: «Le scorciatoie non sono una garanzia per nessuno: non posso giudicare nel merito il metodo Stamina perché appunto non se ne conoscono i dettagli, ma una terapia che non ha una base biologica documentata non può essere proposta da un medico, né tantomeno essere offerta in strutture pubbliche. Il fatto di non essersi sottoposti al vaglio della scienza, di non aver cercato di fare sperimentazioni corrette ci rende sospettosi verso Stamina, è inevitabile: in medicina non si può prescindere da certi passaggi, per la sicurezza dei pazienti di oggi e di domani. Le regole, è bene ricordarlo, non le hanno stabilite pochi ricercatori pazzi, ma sono condivise da tutto il mondo occidentale. La confusione generata da questi casi porta inevitabilmente a non voler credere ai ricercatori e alla loro prudenza, perché sembra che si voglia negare la speranza: in realtà vogliamo darne di fondate, perché se abbandoniamo le regole allora tutto, anche i guaritori, può diventare cura». Bianco: «Non si possono accorciare i tempi perché trovare un rimedio a malattie senza rimedio è difficile. Se non lo fosse, o se esistesse un modo per prevedere quanto tempo ci vuole a trovare una soluzione praticabile, avremmo già risolto tutti i problemi dell’umanità. Invece, di malattie senza rimedio ce ne sono migliaia: esistono almeno 2 mila patologie genetiche di cui conosciamo la causa fondamentale ma non una cura. Ma ci sono anche milioni di persone con malattie che erano senza terapia fino a tempi recenti e oggi non lo sono più. Se è così, la vera speranza è questa: la speranza, come la cura, non riguarda mai solo noi stessi, solo il singolo paziente, riguarda anche tutti i bambini e i malati non ancora nati, in ogni angolo del mondo. Tutti i pazienti che oggi si sottopongono a sperimentazioni ufficiali sanno di farlo non solo per sé ma anche per chi verrà dopo di loro. La strada che trasforma la speranza in realtà non è altro che il lavoro serio e duro di medici e studiosi, unito alla comprensione e alla fiducia dei pazienti». Non sarebbe allora opportuno approvare una sperimentazione della cura Stamina, accorciando i tempi? Bianco: «Forse accadrà, dopo questo polverone: costerà moltissimo e non siamo ancora neppure sicuri che il metodo abbia una qualche plausibilità scientifica. Intanto negli ospedali mancano i soldi per le siringhe. Seguire le vie canoniche per proporre gli studi, offrendo una base razionale per una cura, rivelando i dati ottenuti in modelli animali e chiedendo le autorizzazioni, è anche un modo per non sprecare risorse, indirizzandole su ciò che ha più probabilità di diventare una terapia concreta, con effetti reali. In ogni caso, per iniziare una sperimentazione bisogna che “la cura” sia resa nota nei dettagli». Dallapiccola: «La verità potrebbe venir fuori forse nei prossimi mesi, visto che qualcosa comunque è stato fatto e vedremo l’evoluzione di questi bambini; ma, di nuovo, sarà difficile avere dati sicuri perché le iniezioni sono state sporadiche, su autorizzazione dei giudici e non secondo piani terapeutici precisi e prestabiliti, approvati da un comitato etico».