CORTE AMERICANA DEI DIRITTI UMANI Caso Artavia Murillo ed altri (“fecondazione in vitro”) VS. COSTA RICA

[…] Conclusioni e determinazioni della Corte

1. Ambito dei diritti alla integrità personale, libertà personale e vita privata e familiare nel presente caso.

L’articolo 11 della Convenzione richiede protezione statale degli individui contro le azioni arbitrarie delle istituzioni statali che riguardano la vita privata e familiare. Vieta qualsiasi ingerenza arbitraria o abusiva nella vita privata delle persone, indicando diverse aree del stessa come la vita privata delle sue famiglie. Inoltre, questa Corte ha interpretato in senso lato l’articolo 7 della Convenzione americana evidenziando che introduce un nuovo concetto di libertà in senso lato come la capacità di fare e non fare tutto quello che è legalmente permesso. In altre parole, è il diritto di ogni persona ad organizzare, in base alla legge, la sua vita individuale e sociale in base alle proprie scelte e convinzioni. La Corte ha anche sottolineato il concetto di libertà e la possibilità di ogni essere umano di autodeterminazione e di scegliere liberamente le opzioni e le circostanze che danno senso alla loro vita, in base alle proprie scelte e convinzioni. La vita privata comprende come l’individuo vede se stesso e come sceglie di proiettarsi agli altri, ed è una condizione indispensabile per il libero sviluppo della personalità. La Corte ha inoltre rilevato che la maternità è una parte essenziale del libero sviluppo della personalità delle donne. Dato quanto precede, il Tribunale ritiene che la decisione di diventare genitore o meno è parte del diritto alla vita privata e comprende, in questo caso, la decisione di diventare un genitore in senso genetico o biologico.

Inoltre, la Corte ha rilevato che l’articolo 17 della Convenzione americana riconosce il ruolo centrale della famiglia e la vita familiare nell’esistenza di una persona e nella società in generale. La Corte ha già dichiarato che il diritto alla protezione della famiglia comporta, tra gli altri obblighi, favorire, nella misura massima, lo sviluppo e la forza del nucleo famigliare. Intanto, il Comitato per i Diritti Umani ha dichiarato che la possibilità di procreazione fa parte del diritto di fondare una famiglia.

La Corte ha anche affermato che il diritto alla vita privata è in relazione con: i) l’autonomia riproduttiva, e ii) l’accesso ai servizi di salute riproduttiva, che comporta il diritto di accesso alla tecnologia medica necessaria per esercitare tale diritto. Pertanto, i diritti alla vita privata e l’integrità personale sono direttamente e immediatamente connessi alla sanità. La mancanza di garanzie giuridiche per considerare la salute riproduttiva può comportare una seria menomazione del diritto alla autonomia e la libertà riproduttiva. Per quanto riguarda i diritti riproduttivi, si è rilevato che questi diritti poggiano sul riconoscimento del diritto fondamentale di tutte le coppie e gli individui a decidere liberamente e responsabilmente il numero, intervallo fra le nascite e dei tempi dei loro figli e di avere delle informazioni e mezzi per farlo e il diritto di raggiungere il più alto standard di salute sessuale e riproduttiva.

Infine, il diritto alla vita privata e la libertà riproduttiva è legato al diritto di accesso alla tecnologia medica necessaria per esercitare tale diritto. Dal diritto di accesso al più alto ed efficace progresso scientifico per l’esercizio della autonomia riproduttiva e la possibilità di mettere su famiglia, deriva il diritto di accedere ai migliori servizi sanitari nelle tecniche di riproduzione assistita, e, di conseguenza, il divieto di restrizioni sproporzionate e inutili di diritto o di fatto di esercitare le decisioni riproduttive.

La Corte ha ritenuto che questo caso è una particolare combinazione di diversi aspetti della vita privata, che riguardano il diritto di fondare una famiglia, il diritto all’integrità fisica e mentale, e in particolare i diritti riproduttivi delle persone.

2. Effetti del divieto assoluto di fecondazione in vitro

La Corte ha rilevato che la Corte Costituzionale ha ritenuto che se la tecnica della fecondazione in vitro poteva eseguirsi nel rispetto di un concetto di tutela assoluta della vita dell’embrione, essa potrebbe essere praticata nel paese. Tuttavia, la Corte ha rilevato che, sebbene la sentenza della Corte Costituzionale utilizzò delle parole condizionanti per sostenere la pratica della fecondazione in vitro nel paese, il fatto è che dodici anni dopo che la sentenza è stata emessa, questa tecnica non viene eseguita in Costa Rica. Così, la Corte ha ritenuto che la “condizione sospensiva” stabilita nella sentenza, finora, non ha prodotto alcun effetto pratico reale. Pertanto, senza andare a classificarlo come un divieto “assoluto” o “relativo”, è stato possibile concludere che la decisione della Costituzionale ha causato come fatto pacifico che la FIV non è praticata in territorio del Costa Rica e, pertanto, le coppie che desiderano partecipare a questa tecnica non possono farlo nel suo paese. Inoltre, poiché la Corte Costituzionale condizionò la possibilità di utilizzare questa tecnica a che non ci fosse alcuna perdita embrionale nella sua attuazione, ciò significa, in pratica, il divieto della stesso, dato che le prove nella pratica indicarono che, fino ad ora, non esiste alcuna opzione per la pratica FIV senza alcuna possibilità di perdita dell’embrione.

La sentenza, inoltre, ha generato l’interruzione del trattamento medico che avevano iniziato alcune delle presunte vittime di questo caso, mentre altri sono stati costretti a recarsi all’estero per accedere a fecondazione in vitro. Questi eventi hanno costituito una ingerenza nella vita privata e familiare delle vittime, che hanno dovuto modificare o variare le possibilità di accesso alla fecondazione in vitro, il che costituiva una decisione delle coppie sui metodi o pratiche che volevano tentare con l’obbiettivo di procreare un figlio o figlia biologici. La Corte precisò che l’ingerenza in questo caso non è legato al fatto che le famiglie sono stati in grado di avere figli o no, perché anche se potevano accedere alla tecnica di fecondazione in vitro, non è possibile stabilire se questo obiettivo poteva essere stato raggiunto, per cui l’interferenza è limitata alla capacità di prendere una decisione indipendente sul tipo di trattamento che volevano tentare per esercitare i loro diritti sessuali e riproduttivi.

3. Interpretazione dell’articolo 4.1 della Convenzione americana in quanto rilevante nel caso di specie.

La decisione della Corte costituzionale ha ritenuto che la Convenzione Americana richiedeva vietare la fecondazione in vitro come era disciplinata nel Decreto Esecutivo, in modo che la Corte interpretò l’articolo 4.1 della Convenzione nel senso che l’articolo richiedeva la tutela assoluta dell’embrione . Invece, questa Corte è l’interprete autorevole della Convenzione, per cui ha ritenuto importante analizzare se l’interpretazione della convenzione che ha sostenuto le ingerenze verificate era ammissibile alla luce del suddetto trattato e tenendo conto delle relative fonti di diritto internazionale. In particolare, la Corte ha esaminato l’ambito degli articoli 1.2 e 4.1 della Convenzione americana per quanto riguarda la parola “persona”, “essere umano”, “concezione” e “in generale”. Per fare questo, si fece una interpretazione: i) secondo il significato ordinario dei termini, ii), sistematica e storica iii) l’evoluzione, e iv) l’oggetto e lo scopo del trattato.

3.1. Interpretazione conforme il significato ordinario dei termini

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che il termine “persona” è un termine legale che viene discusso in molti ordinamenti giuridici degli Stati aderenti. Tuttavia, ai fini di interpretazione dell’articolo 4.1, la definizione di persona è ancorata alle dichiarazioni fatte nel trattato per quanto riguarda la “concezione” e al “essere umano”, termini il cui campo di applicazione deve essere valutato a partire dalla letteratura scientifica.

La Corte ha rilevato che delle prove della causa divenne evidente come la fecondazione in vitro trasformò la discussione su come comprendere il fenomeno del “concepimento”. Infatti, la FIV riflette che può trascorrere un tempo tra l’unione di uova e sperma, e l’impianto. Per questo motivo, la definizione di “concezione” che avevano i redattori della Convenzione Americana è cambiato.

La Corte rilevò che nel contesto scientifico attuale si evidenziano due diverse letture del termino “concezione”. Una corrente intende “concepimento” come il momento di incontro, o di fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo. Della fecondazione si genera la creazione di una nuova cellula: lo zigote. Qualche prova scientifica considera lo zigote come un organismo umano che ospita le istruzioni necessarie per lo sviluppo dell’embrione. Un’altra scuola intende “concezione” come il momento dell’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero. Ciò dovuto a che l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero materno consente il collegamento della nuova cellula, lo zigote, con il sistema circolatorio materno che li permette di accedere a tutti gli ormoni e gli altri elementi necessari per lo sviluppo dell’embrione.

Inoltre, per quanto riguarda la polemica di quando inizia la vita umana, il Tribunale ritiene che si tratta di una questione valutata in vari modi da un punto di vista biologico, medico, etico, morale, filosofico e religioso, e coincide con tribunali internazionali e nazionali, nel senso che non esiste una definizione di consenso sull’inizio della vita. Tuttavia, per la Corte è chiaro che ci sono concezioni che vedono negli ovuli fecondati una vita umana piena. Alcuni di queste interpretazioni possono essere associati con alcuni concetti che danno agli embrioni attributi metafisici. Queste concezioni non possono giustificare la concessione di prevalenza di una certa letteratura scientifica nell’interpretare la portata del diritto alla vita sancito dalla Convenzione Americana, in quanto imporrebbe un tipo specifico di credenze ad altre persone che non condividono.

Nonostante quanto precede, la Corte ritenne che è opportuno definire, in base alla Convenzione Americana, come interpretare il termine “concezione”. A questo proposito, la Corte evidenziò che la prova scientifica concorda in distinguere due momenti complementari ed essenziali nello sviluppo embrionale: la fecondazione e l’impianto. La Corte rilevò che solo al termine della seconda fase si chiude il ciclo che ci permette di capire che c’è concepimento. Tenuto conto delle prove scientifiche presentate dalle parti nel caso di specie, la Corte ha rilevò che, pur dando l’ovulo fecondato origine ad una cellula diversa e con la sufficiente informazione genetica per il possibile sviluppo di un “essere umano” , il fatto è che se quel embrione non viene impiantato nel corpo della donna, le sue possibilità di sviluppo sono pari a zero. Se non si riuscisse a  impiantare un embrione nel utero, non potrebbe svilupparsi poiché che non avrebbe ricevuto le sostanze nutritive necessarie,  ne sarebbe in un ambiente adatto al loro sviluppo.

A questo punto, la Corte ha dichiarato che il termino “concezione” non può essere inteso come un momento o un processo escludente del corpo della donna, perché un embrione non ha alcuna possibilità di sopravvivere se l’impianto non avviene. Prova di ciò è che stabilire se vi sia o meno una gravidanza è soltanto possibile una volta che l’ovulo fecondato si è impiantato nell’utero, al stabilire se vi sia o meno una gravidanza, una volta un ovulo fecondato si è impiantato nell’utero, al prodursi l’ormone chiamato “Gonodatropina Corionica”, che è soltanto rilevabile nella donna che ha un embrione unito a se stessa. Prima di quello è impossibile determinare se dentro dell’corpo si è verificata la unione tra l’uovo e un spermatozoo e se questa unione  è stata persa prima dell’impianto.

Considerato quanto sopra, la Corte ha inteso il termine “concezione”  dal momento dell’impianto, motivo per che si considera che prima di quel evento non si applica l’articolo 4 della Convenzione Americana. Allo stesso modo, il termine “in generale” permette dedurre eccezioni a una regola, ma l’interpretazione secondo il significato normale non permette specificare la portata di tali eccezioni.

3,2. Interpretazione sistematica e storica

La Corte Costituzionale e lo Stato sostennero i suoi argomenti a partire da un’interpretazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, la Convenzione sui Diritti del Fanciullo e la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959. In particolare, lo Stato ha affermò che altri trattati diversi della Convenzione Americana esigono una protezione assoluta della vita prenatale. Di conseguenza, il Tribunale analizzò l’argomentazione a partire di una valutazione complessiva delle disposizioni dei sistemi di protezione in quanto a protezione del diritto alla vita, tra cui: i) il Sistema Interamericano; ii) il Sistema Universale; iii) il Sistema Europeo, e iv) il Sistema Africano. La Corte ha anche esaminato le preparazioni a base di tali trattati.

3.2.1. Il sistema Interamericano di Diritti Umani

Nella storia della Dichiarazione Americana, la Corte constatò che le preparazione di base di la stessa non forniva una risposta definitiva sulla controversia. In quanto alla Convenzione Americana, la Corte rilevò che durante i lavori preparatori furono utilizzati i termini “persona” ed “essere umano “senza l’intenzione di fare differenza tra queste due espressioni. L’articolo 1.2 della Convenzione affermò che i due termini devono essere intesi come sinonimi. Pertanto, la Corte concluse che i lavori preparatori della Convenzione indicano che non sono riuscite le proposte di eliminare le parole “e, in generale, dal momento del concepimento”, ne quelle che chiedevano di eliminare soltanto le parole “in generale”.

D’altra parte, la Corte evidenziò che la espressione “ogni persona” viene utilizzato in diversi articoli della Convenzione Americana e della Dichiarazione Americana. Analizzando tutti questi articoli non è possibile sostenere che un embrione sia in possesso ed esercite i diritti sanciti in ogni uno di questi articoli. Inoltre, considerando che la concezione avviene soltanto dentro del corpo della donna, si può concludere in riguardo all’articolo 4.1 della Convenzione che l’oggetto diretto di protezione è fondamentalmente la donna in gravidanza, poiché la difesa del nascituro si esercita principalmente attraverso la protezione della donna. Sulla base di quanto precede, la Corte concluse che l’interpretazione storica e sistematica dei precedenti esistenti nel Sistema Interamericano, conferma che non è opportuno concedere lo status di persona all’embrione.

 

3.2.2. Sistema Universale dei Diritti Umani

La Corte rilevò che il termine “essere umano”, usato nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, secondo i lavori di preparazione, non fu intesa nel senso di includere il nascituro. Inoltre, indicò che i lavori preparatori dell’articolo 6.1 del PIDCP indicano che li Stati non  pretendevano considerare il nascituro come persona e dargli lo stesso livello di protezione di persone nate. Disse anche che le decisioni del Comitato dei Diritti Umani permettono affermare che dal PIDCP non deriva una protezione assoluta della vita prenatale o dell’embrione.

Per quanto riguarda la Convenzione sull’Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Contro le Donne, la Corte ha rilevato che le relazioni della commissione per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (di seguito Comitato “CEDAW” per il suo acronimo in inglese) lasciano chiaro che i principi fondamentali di uguaglianza e di non discriminazione esigono privilegiare i diritti della donna incinta sopra l’interesse di proteggere la vita in formazione.

Infine, indicò che gli articoli 1 e 6.1 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo non fanno esplicito riferimento ad una protezione del nascituro. Il preambolo fa riferimento alla necessità di fornire “protezione e cura speciali […] prima […] della nascita”. Tuttavia, i lavori preparatori indicano che questa frase non ebbe lo scopo di fare estensivo al nascituro le disposizioni della Convenzione , in particolare il diritto alla vita.

3.2.3. Sistema Europeo dei Diritti Umani

La precedente Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (in prosieguo: la “CEDU”) non si sono pronunciati sulla portata della protezione di la vita prenatale nel contesto di casi di aborto e di trattamenti medici in relazione con la fecondazione in vitro. Così, per esempio nel Caso Paton vs. Regno Unito , la Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo dichiarò che i termini in cui è redatto la CEDU “tendono a corroborare la constatazione che [l’articolo 2] non include il nascituro.” Aggiunse che riconoscere un diritto assoluto alla vita prenatale sarebbe “sconfiggere l’oggetto e lo scopo della Convenzione.”

D’altra parte, nel caso Vo. V. Francia, la Corte europea osservò che “si può ritenere che gli Stati concordano sul fatto che l’embrione/feto è parte del genere umano [, ma] l potenziale di questo essere e la sua capacità di diventare una persona [… ] richiede una protezione in nome della dignità umana, senza farlo una “persona” con il “diritto alla vita”. Per quanto riguarda i casi relativi alla pratica della fecondazione in vitro, la CEDU si è pronunciata nel caso Evans Vs. Regno Unito, in cui confermò che “gli embrioni creati dal firmatario [ed il suo partner] hanno il diritto alla vita ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione e che, per tanto, non si è avverata una violazione di tale disposizione”. Mentre nelle cause S.H. Vs. Austria, Costa e Pavan Vs. Italia, che trattarono, rispettivamente, il regolamento della FIV per quanto riguarda la donazione di ovuli e spermatozoi da parte di terzi, e la diagnosi genetica pre-impianto, la CEDU non fece neanche riferimento ad una presunta violazione di un diritto proprio degli embrioni.

3.2.4. Sistema Africano dei Diritti Umani

La Corte indicò che il Protocollo della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne (Protocollo di Maputo), tace sul l’inizio della vita, e stabilisce inoltre che gli Stati devono adottare misure adeguate di proteggere “i diritti riproduttivi delle donne, permettendo l’aborto con medicinali nei casi di violenzia sessuale, stupro e incesto e quando la continuazione della gravidanza mette in pericolo la salute mentale e fisica della donna incinta o del feto”.

3.2.5 Conclusioni sulla interpretazione sistematica

La Corte concluse che la Corte Costituzionale si basò nell’articolo 4 della Convenzione Americana, l’articolo 3 della Dichiarazione universale, l’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione sui diritti del fanciullo e la Dichiarazione di diritti del fanciullo del 1959. Tuttavia, da nessuno di questi articoli o trattati potrebbe sostenersi che l’embrione possa essere considerato persona ai sensi dell’articolo 4 della Convenzione. Non è stato neanche possibile dedurre tale conclusione dai lavori preparatori  o di una interpretazione sistematica dei diritti sanciti dalla Convenzione americana o dalla Dichiarazione americana.

3.3 Interpretazione evolutiva

In questo caso, l’interpretazione evolutiva è particolarmente importante, poichè la fecondazione in vitro è una procedura che non esisteva nel momento in cui i redattori della Convenzione hanno adottato il contenuto dell’articolo 4.1 della Convenzione. Pertanto, la Corte ha affrontato due questioni: i) gli sviluppi pertinenti nel diritto internazionale e comparato sullo status giuridico dell’embrione, e ii) le norme e le pratiche di diritto comparato in relazione alla fecondazione in vitro.

3.3.1 Lo status legale dell’embrione

La Corte fece riferimento alla Convenzione di Oviedo, a diversi casi della Corte europea ed a una Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea per concludere che le tendenze normative nel diritto internazionale non permettono di concludere che l’embrione venga trattato allo stesso modo che una persona o che abbia il diritto alla vita. Così, ad esempio, nel caso Costa e Pavan Vs. Italia, la Corte Europea, nelle sue osservazioni preliminari in materia di diritto europeo rilevante per l’analisi del caso, evidenziò che nel “caso Roche c. Roche e altri […], la Corte Suprema irlandese ha dichiarato che la nozione del nascituro (“feto”) non si applica agli embrioni ottenuti della fecondazione in vitro, e questi ultimi non godono della protezione fornita dall’articolo 40.3.3 della Costituzione irlandese che riconosce il diritto alla vita del bambino non ancora nato. “

3.3.2. Regolamenti e pratiche in materia di fecondazione in vitro in diritto comparato

La Corte constatato che, anche se non ci sono tante regolamenti normativi specifiche in merito alla FIV nella maggior parte degli stati della regione, questi permettono la fecondazione in vitro nel loro territorio. Ciò significa che, secondo la prassi della maggioranza degli Stati Parte della Convenzione, se interpreta che la convenzione permette la pratica della fecondazione in vitro. La Corte ha constatato che queste pratiche riguardano il modo in cui gli Stati interpretano il campo di applicazione dell’articolo 4 della convenzione, in quanto nessuno di questi stati ha considerato che la protezione dell’embrione deva essere tale da non permettere le tecniche di fecondazione assistita o, particolarmente, la FIV. In questo senso, la pratica generale è associata con il principio della protezione graduale e incrementale –e non assoluta–, della vita prenatale e  alla conclusione che l’embrione non può essere inteso come persona.

3,4. Il principio dell’interpretazione più favorevole e l’oggetto e lo scopo del trattato

I precedenti che sono stati analizzati fino ad ora ci permettono di dedurre che lo scopo dell’articolo 4.1 della Convenzione è quello di salvaguardare il diritto alla vita, senza coinvolgere la negazione di altri diritti protetti dalla Convenzione. In questo senso, la clausola “in generale” ha l’oggetto e lo scopo di consentire,  dinanzi ad un conflitto di diritti, invocare eccezioni alla tutela del diritto alla vita dal concepimento. In altre parole, l’oggetto e lo scopo dell’articolo 4.1 della Convenzione è di non ritenere il diritto alla vita come un diritto assoluto, la cui protezione possa giustificare la negazione totale di altri diritti.

Di conseguenza, non è ammissibile l’argomento dello Stato nel senso che la sua costituzione dona una maggiore tutela del diritto alla vita e, per tanto, fa prevalere questo diritto in modo assoluto. Al contrario, questo punto di vista nega l’esistenza di eventuali diritti che possano essere limitati in una difesa sproporzionata di tutela assoluta del diritto alla vita, il che sarebbe contrario alla tutela dei diritti umani, che è l’oggetto e lo scopo del trattato.

Pertanto, la Corte ha concluse che l’oggetto e lo scopo della clausola “in generale” di cui all’articolo 4.1 è di consentire, se del caso, un adeguato equilibrio tra i diritti e gli interessi in contrasto. Nel presente caso, è sufficiente evidenziare che questo oggetto e scopo significa che non si può pretendere la protezione assoluta dell’embrione annientando altri diritti.

3.5. Conclusione dell’interpretazione dell’articolo 4.1

La Corte ha utilizzato vari metodi di interpretazione, che hanno portato a risultati coincidenti, nel senso che l’embrione non può essere trattato come persona ai fini dell’articolo 4.1 della Convenzione americana. Inoltre, dopo l’analisi delle basi scientifiche disponibili, la Corte concluse che “concezione” ai sensi dell’articolo 4.1 si svolge dal momento degli impianti di embrioni nell’utero, motivo per cui prima di questo evento non farebbe scattare l’applicazione dell’articolo 4 della Convenzione. Inoltre, è possibile dedurre dalle parole “in generale” che la protezione del diritto alla vita ai sensi di tale disposizione non è assoluto, ma è graduale e progressivo secondo il suo sviluppo, perché non è un dovere assoluto e incondizionato, ma che comporta comprendere eccezioni alla regola generale.

4. Proporzionalità della misura di proibizione

Questa Corte ha stabilito nella sua giurisprudenza che un diritto può essere limitato dagli Stati sempre che non sia in modo abusivo o arbitrario; per cui, devono essere previste dalla legge in senso formale e materiale, avere uno scopo legittimo e soddisfare i requisiti di adeguatezza, necessità e proporzionalità. Nel caso di specie, la Corte ha sottolineato che il “diritto assoluto alla vita dell’embrione” come base per la limitazione dei diritti coinvolti, non è previsto nella Convenzione Americana, motivo per cui non fu necessario analizzare in dettaglio ogni uno di questi requisiti, ne di valutare le controversie in materia di dichiarazione di incostituzionalità in senso formale per la presunta violazione del principio della riserva di legge.

Fermo restando quanto sopra, la Corte dichiarò procedente la esposizione del modo in cui il sacrificio dei diritti coinvolti in questo caso fu eccessivo in relazione ai benefici che invocati con la tutela dell’embrione. Per questo, la restrizione dovrebbe raggiungere una importante soddisfazione della tutela della vita prenatale, senza privare di senso il diritto alla vita privata e a fondare una famiglia. La Corte farà una ponderazione di analisi di: i) la gravità delle interferenze che si verificano nei diritti alla vita privata e familiare. Inoltre, questa severità è analizzata dall’impatto sproporzionato relativo a: ii) la disabilità, iii) il sesso e iv) lo status socio-economico. Infine si valuteranno v) gli invocati esiti raggiunti nel perseguire lo scopo cercato con le interferenze.

4.1. Gravità della limitazione dei diritti coinvolti in questo caso

La Corte ha ritenuto che una delle interferenze proprio nella vita privata si riferisce al fatto che la decisione della Corte Costituzionale impedisce che fossero le coppie che decidessero se desideravano o meno sottoporsi in Costa Rica a questo trattamento per avere figli. L’interferenza è più evidente se si considera che la FIV è, nella maggior parte dei casi, l’arte che eseguono gli individui o coppie dopo aver provato altri trattamenti contro l’infertilità (per esempio, il signor Vega e la signora Arroyo tentarono 21 inseminazioni artificiali) o, in altre circostanze, è l’unica opzione che ha la persona per avere figli biologici, come nel caso del signore Mejias Carballo e la signora Calderon Porras.

La Corte ha ritenuto che  questa ingerenza comportava una severità nella limitazione,  perché, prima, il divieto della fecondazione in vitro ebbe conseguenze nella intimità delle persone, dal momento che, in alcuni casi, uno degli effetti indiretti del divieto è stato che, non essendo possibile praticare questa tecnica in Costa Rica, le procedure che si avviarono per avere cure mediche all’estero esigevano esporre gli aspetti che erano parte della vita privata. Secondo, per quanto riguarda il coinvolgimento di autonomia personale e il progetto di vita della copia, la Corte ha osservò che la FIV è di solito eseguita come ultima risorsa per superare gravi difficoltà riproduttive. Il suo divieto interessa con più forza i piani di vita delle coppie la cui unica opzione di procreare è la FIV. Terzo, è stata colpita l’integrità psicologica delle persone negando loro la possibilità di accedere a un metodo che permette di mettere in atto la libertà riproduttiva desiderata. Così, per le ragioni esposte, le coppie subirono gravi interferenze in relazione alla presa di decisioni in materia dei metodi e pratiche che volevano provare con lo scopo di concepire un figlio biologico.

4.2. La gravità delle interferenze come conseguenza della discriminazione indiretta per l’incidenza sproporzionata della disabilità, genere e condizione economica

La Corte ha ritenuto che il principio di diritto obbligatorio di tutela eguale ed effettiva della legge e di non discriminazione determina che gli Stati devono astenersi dal produrre norme che siano discriminatorie o che abbiano effetti discriminatori su diverse tipologie di una popolazione quando esercitano i loro diritti. Il concetto di discriminazione indiretta comporta che una norma o una prassi apparentemente neutri, ha conseguenze particolarmente negative in una persona o tipologia con caratteristiche specifiche. È possibile che chi abbia impostato questa norma o prassi non sia a conoscenza di queste conseguenze pratiche e, in questo caso, l’intenzione di discriminare non è essenziale e si applica l’inversione dell’onere della prova. La Corte ritenne che il termine impatto sproporzionato è legato a quello di discriminazione indiretta, per cui si analizzò se in questo caso ci fossero stati conseguenze sproporzionate  in relazione con la disabilità, sesso e status economico.

4.2.1. Discriminazione indiretta in materia di condizione di disabilità

La Corte ha rilevato che l’Organizzazione Mondiale della Salute(OMS) ha definito l’infertilità come “una malattia del sistema riproduttivo definita come l’incapacità di ottenere una gravidanza clinica dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali non protetti.” Nel frattempo, la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità prevede che le persone con disabilità “intendono coloro che presentano menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società, su condizioni di uguaglianza con gli altri “. La disabilità risulta dall’interazione tra le limitazioni funzionali di una persona e le barriere esistenti nell’ambiente che impediscono il pieno esercizio dei loro diritti e delle libertà.

Sulla base di queste considerazioni e tenendo conto della definizione sviluppata dalla OMS nel senso che l’infertilità è una malattia del sistema riproduttivo, la Corte constatò che l’infertilità è una limitazione funzionale riconosciuta come malattia e che le persone sterili in Costa Rica , affrontando gli ostacoli generati dalla decisione della Corte costituzionale, dovrebbero essere considerate protette dai diritti delle persone con disabilità, tra cui il diritto di accesso alle tecniche necessarie per risolvere i problemi di salute riproduttiva. Questa condizione richiedeva una particolare attenzione allo sviluppo della autonomia riproduttiva.

4.2.2. La discriminazione indiretta in relazione al genere

La Corte ha rilevato che il divieto di fecondazione in vitro può colpire sia gli uomini che le donne e che poté produrre effetti sproporzionati differenziati per l’esistenza di stereotipi e pregiudizi nella società. A questo proposito, mentre l’infertilità può colpire uomini e donne, l’uso di tecniche di riproduzione assistita si riferisce in particolare ai corpi delle donne. Anche se il divieto di fecondazione in vitro non è espressamente diretta verso le donne, e quindi apparentemente neutro, ha un impatto negativo sproporzionato su di loro.

A questo proposito, la Corte ha sottolineato che fu interrotto il processo iniziale della fecondazione in vitro (induzione dell’ovulazione) in alcune delle coppie, ebbe un effetto diverso sulle donne, perché era nei loro corpi dove si concretizzava questo intervento iniziale progettato per la realizzazione del progetto famiglia associato alla fecondazione in vitro. Poiché in ogni procedura di FIV le donne ricevono stimolazione ormonale per la induzione ovarica, questo generò un importante effetto nei casi in cui il trattamento è stato interrotto a causa del divieto e nei casi in cui le procedure eseguite fuori del paese richiesero costi aggiuntivi . Inoltre, si fece riferimento agli stereotipi che hanno avuto effetti nei casi di  infertilità maschile. La Corte rilevò che questi stereotipi di genere sono incompatibili con il diritto internazionale dei diritti umani e si devono adottare misure per sradicarle. La Corte non ha convalidato questi stereotipi e soltanto li riconobbe e vide per precisare l’effetto sproporzionato dell’interferenza generata dalla sentenza della Corte Costituzionale.

4.2.3. La discriminazione indiretta in relazione alla situazione economica

Infine, la Corte ha rilevato che il divieto di fecondazione in vitro ha avuto un effetto sproporzionato sulle coppie sterili che non avevano le risorse finanziarie per eseguire la FIV all’estero.

4.3. Controversia per la presunta perdita embrionale

La Corte ha rilevato che il Decreto dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale aveva le misure di protezione per l’embrione, per quanto stabiliva il numero di ovuli che potevano essere fecondati. Inoltre, vietava “rigettare o eliminare embrioni o conservarli per un trasferimento in cicli successivi della stessa paziente o di altre paziente.” In questo senso, c’erano misure per non generare un “rischio sproporzionato” nella speranza di vita degli embrioni. Da un’altra parte, secondo le disposizioni del Decreto, l’unica possibilità di perdita di embrioni viabile, era se questi non vengono impiantati nell’utero delle donne una volta fatto il trasferimento di embrioni.

La Corte ritenne necessario approfondire questo ultimo punto a partire della prova prodotta nel processo davanti alla Corte per quanto riguarda le somiglianze e le differenze derivanti dalla perdita di embrioni sia nelle gravidanze naturali come nella fecondazione in vitro. Per la Corte fu sufficiente dimostrare che le prove nel fascicolo era coerente nell’indicare che sia nella gravidanza naturale che nella FIV esiste la perdita di embrioni. Inoltre, sia l’esperto  Zegers come l’esperto Caruso concordarono in evidenziare che le statistiche sulla perdita embrionale nelle gravidanze naturali sono poco misurabili rispetto alla misura delle perdite nella fecondazione in vitro, il che limita il campo di applicazione che cerca di dare a qualche statistica che è stata presentata alla Corte.

Poiché la perdita embrionale si verifica sia in gravidanze naturali che quando si esegue la FIV, l’argomento per l’esistenza di manipolazione cosciente e volontaria delle cellule nel contesto della fecondazione in vitro solo può essere intesa come legata alla tesi sviluppata dalla Corte Costituzionale in relazione alla protezione assoluta del diritto alla vita dell’embrione, che è stato minato nelle sezioni precedenti della presente Sentenza. Così la Corte ha ritenuto eccessiva la rivendicazione tutela assoluta dell’embrione rispetto ad un rischio comune è insito anche nei processi in cui non interviene la tecnica della FIV.

La Corte ha ribadito che, proprio uno degli obiettivi della fecondazione in vitro è quello di contribuire alla creazione della vita, che è testimoniata dalle migliaia di persone che sono nati con questa procedura. In sintesi, sia gravidanza naturale sia in tecniche quali l’inseminazione artificiale esiste perdita embrionale. La Corte rilevò che ci sono dibattiti scientifici sulle differenze tra tipo di perdita embrionale che si verificano in questi processi e le loro cause. Ma ciò che è stato analizzato finora indica che, tenuto conto delle perdite che si verificano in gravidanza naturale embrionale e altre tecniche di riproduzione consentite in Costa Rica, la tutela dell’embrione che si cercava con il divieto della FIV aveva una portata molto limitata e moderata.

4.4. Conclusione sull’equilibrio tra la gravità della interferenza e l’effetto sullo presunto scopo prefissato.

Equilibrare la gravità della limitazione dei diritti coinvolti in questo caso e l’importanza di la tutela l’embrione, suggerisce che il coinvolgimento del diritto alla integrità personale, la libertà personale, la vita privata, la privacy, l’autonomia riproduttiva, l’accesso ai servizi di salute riproduttiva e di fondare una famiglia è grave ed è una violazione di tali diritti, perché tali  diritti vengono annullati in pratica, per coloro il cui unico possibile il trattamento della sterilità era la FIV. Inoltre, l’interferenza ebbe un effetto diverso sulle vittime per il loro stato di disabilità, gli stereotipi di genere e, in alcune delle presunte vittime, la loro situazione economica.  In contrasto, l’effetto della protezione dell’embrione è molto leggero, poiché la perdita embrionale si verifica sia nella FIV che nella la gravidanza naturale con simile livello di possibilità. La Corte ha sottolineato che l’embrione prima del suo impianto non rientra nei termini di cui all’articolo 4 della Convenzione e ricorda il principio di tutela graduale e progressiva della vita prenatale.

Pertanto, la Corte concluse che la Corte Costituzionale iniziò dalla tutela assoluta dell’embrione che, non ponderando ne prendendo in considerazione altri diritti in conflitto, portò ad un intervento arbitrario ed eccessivo nella vita privata e familiare che fece sproporzionata la interferenza. Inoltre, l’interferenza ha avuto ebbe effetti discriminatori.

III. Riparazioni

La Corte dichiarò che la Sentenza costituisce di per sé una forma di risarcimento e inoltre ordinato allo Stato: i) adottare misure adeguate per cessare nel più breve tempo possibile il divieto di praticare la FIV e per che le persone che desiderano fare uso di tale tecnica di riproduzione assistita possano farlo senza trovare ostacoli; ii) lo Stato dovrà, al più presto, regolamentare gli aspetti ritenuti necessari per l’attuazione e stabilire sistemi di controllo di qualità delle istituzioni o professionisti qualificati per sviluppare questo tipo di tecniche di riproduzione assistita, e iii) la Cassa Costarricense de Seguro Social dovrà includere gradualmente la disponibilità della fecondazione in vitro nei loro programmi e trattamenti contro l’infertilità e nella cura della salute, in conformità con il dovere di garanzia per quanto concerne il principio di non discriminazione.

Inoltre, lo Stato a titolo di risarcimento dovrà: i) fornire gratuitamente un servizio di terapia psicologica per le vittime che abbiano bisogno; ii) pubblicare la sintesi ufficiale elaborata dalla Corte nel giornale ufficiale, su un quotidiano di diffusione nazionale e renderlo disponibile all’interno di un sito della magistratura; iii) attuare programmi e corsi di formazione continui e di formazione in materia di diritti umani, diritti riproduttivi e no discriminazione diretta a funzionari giudiziari, e iv) pagare risarcimento danni per danni materiali e immateriali alle vittime.

La Corte interamericana dei diritti dell’uomo, monitorerà l’attuazione integra della sentenza e chiuderà il caso una volta che lo Stato abbia pienamente rispettato le disposizioni della Sentenza.