Testamento biologico, Gilberto e il caso del voglio morire da vivo

Corriere Nazionale
Camillo Valerio

“Rifiuto di rinunciare a me stesso e rassegnarmi. Un uomo rassegnato è un uomo morto prima di morire, ed io non voglio essere morto prima di morire. Non voglio morire da morto! Voglio morire da vivo!”. Si tratta di uno dei più celebri aforismi di Oriana Fallaci (Insciallah, 1990).

Adesso, quelle ultime parole – Voglio morire da vivo – sono state usate per accompagnare l’uscita di un video, diffuso dall’Associazione Luca Coscioni nell’ambito della campagna per la legalizzazione dell’eutanasia. Gilberto, il protagonista, racconta del suo amore per la vita, della sintonia con la natura e della capacità di accettare anche gli eventi negativi, trasformandoli in opportunità. La carezza ad un cane e pochi minuti di chiacchiere con gli amici sono fra le piccole grandi cose che il tumore, ormai incurabile, gli concede e che egli sa apprezzare.

Non vi è rassegnazione nelle sue parole; e neppure rinuncia alla vita. Vi è “soltanto” la preoccupazione che un peggioramento progressivo mini il corpo già segnato, fino a ledere il cervello e a privarlo della capacità d’intendere e di volere. In una lettera del 29 novembre chiede di poter decidere di smettere di vivere qualche giorno prima, per non perdere dignità e non provare vergogna; ma anche per non soffrire “solo come un cane in mezzo a mille dolori”.  Oltre a queste umiliazioni temute, ve n’è una già subita: quella di vedere ignorato il suo testamento biologico. A chi appartiene la vita? …e la morte.