Turisti della libertà di scelta

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Fainotizia
Antonella Soldo

Il 28 novembre del 2011 Lucio Magri, ex esponente del Pci e fondatore de “Il Manifesto”, all’età di 79 anni a causa di una grave depressione decide di recarsi in Svizzera per porre fine alla sua vita con il suicidio assistito. Così, probabilmente con l’aiuto di un medico privato a Bellinzona, e con la vicinanza di qualche amico intimo ha assunto sciolto in un bicchiere un farmaco a base di barbiturici, che in pochi minuti l’ha condotto ad una morte indolore. Un ultimo gesto, fatto in punta di piedi, nel silenzio, ma che in Italia scatena una scia di polemiche: tutti da Marco Travaglio ad Eugenia Roccella si sentono in dovere di esprimere il proprio giudizio sulla scelta di Magri.

SUICIDIO ASSISTITO- Per suicidio assistito si intende l’aiuto medico e amministrativo portato ad una persona che ha deciso di morire tramite suicidio. Si distingue dall’eutanasia perché in questo caso è lo stesso suicida che deve essere in grado di compiere materialmente l’ultimo gesto: portare alla bocca con le proprie mani un bicchiere con il farmaco letale, (o staccare l’ago nel caso in cui lo assuma per via endovenosa). Dunque la capacità di intendere e di volere e una capacità motoria anche minima sono condizioni necessarie. Questa pratica è riconosciuta in Olanda, Belgio, Lussemburgo, Svizzera e lo stato americano dell’Oregon. La Svizzera è l’unico paese al mondo dove il suicidio assistito è consentito anche ai non residenti, a condizione che ciò avvenga senza scopo di lucro. La base normativa è costituita dall’articolo 115 del codice penale svizzero che recita “chiunque per motivi egoistici istiga qualcuno al suicidio o gli presta aiuto è punito se il suicidio è stato consumato o tentato con una pena detentiva fino a 5 anni o con una pena pecuniaria”.  La normativa elvetica, dunque, fa una distinzione tra le motivazioni e decriminalizza le azioni prese da terzi per aiutare a morire un individua adulto con una malattia terminale o una condizione di vita insopportabileper sé. Anche la depressione è ammessa tra le cause della volontà di morire. A maggio del 2011 i cittadini del cantone di Zurigo chiamati in consultazione con un referendum hanno respinto a larghissima maggioranza la proposta dell’Unione evangelica democratica di fermare il “turismo del suicidio”, ovvero di impedire il suicidio assistito agli stranieri. L’associazione Dignitas di Zurigo ed Exit International di Berna, sono le uniche strutture preparate per accogliere anche stranieri.

MORIRE CON DIGNITAS- Dal 1998 l’associazione Dignitas, guidata dall’avvocato Ludwig Minelli, si occupa di accompagnare alla morte. Dalla sua fondazione ad oggi sono 1300 le persone provenienti da 25 paesi diversi che hanno chiesto ed ottenuto di accedere al programma. Nel 51% dei casi si è trattato di tedeschi, nel 14% di inglesi,  nel 9% di francesi e nel 2,54% di italiani. Dal 2001 ad oggi i nostri connazionali che si sono rivolti a Dignitas sono stati in tutto 33, di questi 14 solo nel 2011. Per accedere ai servizi di Dignitas è necessario essere soci, ovvero versare una quota di iscrizione di 160 euro e una quota annua. I membri dell’associazione sono oltre 6mila, gli italiani iscritti sono 265, di questi 110 si sono iscritti negli ultimi due anni. Secondo Exit Italia ogni settimana 30 italiani chiedono informazioni sul suicidio assistito e lo scorso anno sarebbero stati circa 50 gli italiani che hanno fatto ricorso al suicidio assistito in Svizzera mettendo insieme quelli che si sono rivolti a Dignitas, ad Exit di Berna o a qualche medico privato.

Mentre i cittadini svizzeri possono chiedere l’accompagnamento alla morte in casa, i cittadini stranieri devono recarsi necessariamente in Svizzera: il farmaco usato il Nap, è infatti considerato uno stupefacente, portarlo oltre i confini elvetici significherebbe esporsi all’imputazione di narcotraffico. Per questo Dignitas ha attrezzato una villetta nella zona industriale di Zurigo per accogliere i soci e i familiari che li accompagnano.

I circa cento suicidi all’anno effettuati seguono una procedura rigorosa. All’inizio c’è un consulto preliminare con un medico svizzero, che analizza la cartella clinica e un documento di “dichiarazione di morte volontaria” in cui la persona esprime la sua richiesta, la sua situazione, e il modo in cui la vive.   Il medico valuta se ci siano le condizioni di incurabilità necessarie per accedere al protocollo e dà un primo parere favorevole (luce verde). Parere che diventa definitivo in un secondo momento, dopo che il medico può visitare il paziente e decidere di prescrivergli il Nap. Dignitas ufficialmente non accetta casi di depressione anche gravissima come quello di Magri. In teoria la legge svizzera non lo proibisce, ma anche a causa degli attacchi subiti sulla stampa di tutto il mondo, Minelli e il suo staff si sono dati come regola quella di accettare solo malati terminali. Dopo il primo consulto il paziente può decidere di accedere alla fase successiva quando lo ritenga opportuno. In ogni fase i collaboratori di Dignitas hanno cura di verificare che la persona che chiede di poter porre fine alla sua vita sia perfettamente cosciente e non influenzata da terzi, quindi in grado di sottoscrivere tutta una serie di documenti che provino questa volontà. Quando la persona è determinata ad andare avanti inizia la seconda fase. Nei locali dell’associazione si può procedere con l’accompagnamento. Qui il paziente può avere vicini familiari o amici, ed è assistito da almeno due “accompagnatori”. Gli si domanda se sia ancora convinto della sua decisione, quindi gli si somministra un antiemetico per evitare il vomito. Dopo mezz’ora, sempre che non abbia cambiato idea in extremis, gli viene portato il potente barbiturico letale sciolto in acqua o succo di frutta. Dopo pochi minuti si addormenta, all’anestesia subentra il coma, infine entro mezz’ora sopraggiunge il decesso.

Per dimostrare che la legge viene rispettata, tutte le fasi dell’operazione- a meno di esplicito divieto da parte della persona-  vengono filmate. Le autorità svizzere, infatti, sono tenute ad indagare su ogni suicidio assistito. Per facilitare loro il lavoro e garantire la trasparenza di tutti gli atti Dignitas fornisce i filmati e la documentazione firmata in precedenza. Dignitas è un’associazione senza scopo di lucro, quindi tutti i costi- che vanno dai 3mila agli 8mila euro– servono a coprire le spese: dai consulti medici, al disbrigo delle pratiche burocratiche dopo il decesso fino alla cremazione e spedizione delle ceneri.

PREVENZIONE DEI SUICIDI- Nonostante la fama di “clinica della morte” che i tabloid hanno costruito intorno a Dignitas, il primo obiettivo che l’associazione rivendica è proprio quello di lavorare per la prevenzione dei suicidi. Una vera e propria tragedia sociale in Svizzera dove ogni anno si registrano circa 1300 suicidi e 67mila tentativi di suicidi. Con conseguenze tragiche e pesanti ricadute psicologiche anche sui familiari. L’associazione ha attivato una sorta di help line attiva anche per i non soci per “dare la possibilità di parlare con qualcuno apertamente della propria intenzione di togliersi la vita senza paura di essere messo in una clinica psichiatrica apre le porte a guardare tutte le opzioni”, come ci scrive Silvan Luley, uno dei responsabili. Molti vengono indirizzati verso le cure palliative, o verso altri tipi di terapie, ma ci sono sofferenze per cui la scienza medica non ha ancora rimedi e allora il suicidio assistito appare come l’unica via praticabile. Paradossalmente, però, il profilarsi di una possibilità reale di avere una via d’uscita serve a molti pazienti a non cadere in disperazione e a non perdere il controllo. “L’opzione di un suicidio assistito senza dover far fronte a diversi rischi inerenti ai comuni tentativi di suicidio- sostiene Luley- è uno dei migliori metodi per prevenire suicidi e tentativi di suicidi”. I dati sembrano dargli ragione: solo il 14% delle persone che hanno ottenuto il parere favorevole, la “luce verde”, da parte di un medico svizzero dopo il primo consulto hanno poi fatto uso dell’opzione del suicidio assistito. Alcuni dopo molto tempo.

Inoltre, la legalizzazione del suicidio assistito non ha provocato né in Svizzera né negli altri paesi in cui è in vigore una crescita esponenziale delle persone che vi fanno ricorso, e soprattutto delle categorie più “vulnerabili”. Uno studio pubblicato sul Journal of Medical Ethics- dal titolo “Legal physician-assisted dying in Oregon and The Nederlands: evidence concerning the impact on patients in vulnerable groups”- , ha dimostrato come non sia possibile rilevare nell’accesso al suicidio assistito un’ evidenza nelle categorie più a rischio: giovani, donne, poveri, persone con basso livello di istruzione, disabili e malati cronici, con sofferenze psicologiche. “Questo- secondo Luley- dimostra che una soluzione liberale offre risultati più sofisticati di una soluzione che in tali situazioni privi gli individui della loro dignità, libertà personale e responsabilità”.

E l’auspicio è proprio quello che altri Stati adottino questa soluzione liberale: “l’obiettivo di Dignitas- conclude Silvan Luley- non è quello che gente da tutto il mondo venga in Svizzera, ma piuttosto che gli altri paesi adattino le loro legislazioni in modo da implementare le istanze di fine vita in modo che i cittadini abbiano una scelta reale e non abbiano bisogno di diventare “turisti della morte”,che è un’espressione orribile comunque: infatti queste persone sono “turisti della libertà” o “turisti dell’auto-determinazione”. Il vero obiettivo di Dignitas è che un giorno Dignitas non esista più- perché le persone avranno i loro diritti a casa e non avranno bisogno di associazioni come la nostra”.

IN ITALIA SAREBBE OMICIDIO- Il 29 novembre 2010 il regista Mario Monicelli all’età di 95 anni si è tolto la vita lanciandosi dal quinto piano del reparto di urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato per un tumore alla prostata. Il padre della commedia all’italiana qualche anno prima commentando il caso Welby aveva spiegato a Radio Radicale come questo tema ben si prestasse ad essere rappresentato con una commedia: “ironizzando e mettendo in ridicolo quelli che pensano che questo disgraziato debba rimanere lì a soffrire, per grazia non si sa di chi, o per la deontologia del medico”. Un salto nel vuoto di un uomo anziano fortemente provato dalla malattia, che usa le sue ultime forze per dare uno schiaffo a questo Paese. In Italia, secondo l’Istat, avvengono circa 4mila suicidi ogni anno. Il tasso più alto (21 casi ogni 100mila abitanti) si registra tra gli uomini di età superiore ai 65 anni– soli e malati- che nella maggior parte dei casi scelgono di darsi la morte per impiccagione, soffocamento, precipitandosi o con un colpo di arma da fuoco.

Nonostante questi dati il suicidio assistito in Italia è vietato ed è perseguibile con gli articoli 575(omicidio) 579 e 580 del Codice penale che puniscono sia l’omicidio del consenziente, sia l’aiuto al suicidio con la reclusione da 5 a 15 anni. Divieto che è riproposto nel Ddl Calabrò, attualmente in discussione al Senato, e che verrà confermato qualora si arrivi all’approvazione del testo. Il 29 novembre in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, l’Associazione Luca Coscioni ha lanciato una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito. Tale proposta, sviluppata in quattro articoli, prevede il pieno rispetto della volontà della persona, il pieno adempimento del rifiuto delle cure e la non incriminazione dei medici che, sotto determinate condizioni e su richiesta della persona malata terminale, l’eutanasia e il suicidio assistito. L’obiettivo è quello di garantire che nel prossimo Parlamento comunque sarà depositata, e quindi dovrà necessariamente essere discussa, una legge con questi parametri.

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