Grazie, Marco. Io innanzitutto voglio esprimere tutta la mia gratitudine a Filomena, alla segretaria dell’Associazione Luca Coscioni per il lavoro straordinario che, a mio giudizio, ha fatto nell’anno che l’ha vista ricoprire questa importante carica e soprattutto per la capacità che ha avuto di aggiungere all’iniziativa politica, questa dimensione di ricorsi giurisdizionali che, a mio avviso, sono di fondamentale importanza e lo ha saputo e voluto fare anche insieme al Partito Radicale. Quindi, davvero Filomena grazie per questo tuo lavoro, ma anche per i risultati che hai saputo ottenere insieme all’Associazione.

Io ho chiesto di intervenire perché purtroppo non potrò seguire tutti i lavori del vostro congresso e mi dispiace, ma come Nessuno tocchi caino abbiamo davanti una settimana davvero di fuoco e quindi purtroppo riuscirò a trattenermi solo oggi. L’intervento che io volevo fare riguarda la questione della sperimentazione animale, questione rispetto alla quale voglio fare innanzitutto una premessa, ed é una premessa relativa al massimo rispetto che ho delle pratiche mediche, delle ricerche mediche, delle sperimentazioni mediche, che sono state fatte in scienza e coscienza dagli operatori, dai ricercatori, e perché ritengo che il binomio scienza e coscienza sia sacro e non debba essere oggetto assolutamente di alcun pregiudizio. Ma voglio anche dire che se la libertà di ricerca scientifica é libertà, é ricerca ed é scientifica, deve essere rispettosa proprio per questo anche di modelli, si usa molto il termine paradigmi, e protocolli scientifici diversi, nel senso che io ho avuto la possibilità, grazie al fatto di essere stata eletta e di essermi occupata di questioni ambientali, di approfondire questa questione, cioè il fatto che esistono dei modelli, delle concezioni materialiste e meccaniciste anche della scienza e della medicina, rispetto alle quali però c’é anche un’altra concezione, ci sono anche altri modelli che sono quelli vitalisti e dinamici, legati a come funzionano i sistemi viventi e all’energia che li dirige o comunque ad un elemento di immaterialità che pure li anima, e sui quali si fondano anche modelli scientifici di ricerca, di terapia, diversi da quelli magari in cui noi siamo immersi e che sono quelli della terapia, della cura sempre legata ad un concetto comunque di quantità e di materialità come elemento prevalente.

Dico questo, faccio questo riferimento anche alla concezione vitalista, perché ad esempio, secondo una lettura vitalista, la malattia ha fatto, esclusi gli elementi esogeni, perché é chiaro che se uno é immerso, penso a chi dovesse avere a che fare con copertura appunto da amianto non a norma o alla vicenda dell’Ilva di Taranto, quindi a questi fattori esogeni, c’é comunque una componente della malattia che é legata a fatti traumatici come ad esempio l’aver vissuto un’ingiustizia, l’aver avuto esperienze di denegata identità. Voglio dire, c’é a mio giudizio una componente che é legata ad un mancato riconoscimento di amore nei confronti di noi oppure nei confronti degli altri. Per cui credo che questo aspetto debba portarci a riflettere perché il successo di una terapia non necessariamente in questa dimensione, in quest’ottica, è legato all’annientamento appunto della malattia, quanto piuttosto alla liberazione di una parte, della parte migliore che c’è in noi e, ripeto, esistono modelli, esistono esperienze in questo senso e penso quanto questa dimensione appartenga anche al nostro modo di fare politica, quando penso ad esempio al digiuno che, al di là degli aspetti terapeutici che può avere, il digiuno per come lo viviamo e lo pratichiamo noi non è mai un atto contro qualcosa, contro un avversario politico, ma semmai è un atto di amore, di interesse per ciò che al momento è diverso da noi, tant’è che Marco Pannella dice sempre che l’iniziativa non violenta legata al digiuno non è volta ad annientare il nemico, non è che si vince appunto annientando l’avversario, ma si convince. Quindi è questa la dimensione in cui si muove il nostro agire politico e, ripeto, questo si lega anche all’esperienza che io ho fatto in ambito ambientale dove lo stesso professor Aldo Loris Rossi, negli importanti studi che ci sottopone, documenta proprio l’urgenza e la necessità di un passaggio da un modello meccanicista ad uno che lui definisce ecologico nel senso che è organicista e olistico. Lui questo poi lo traduce in un ambito che è quello dell’urbanistica, arrivando a concepire le eco-cities, ma questo per dire quanto sia a mio giudizio importante avere presente appunto l’esistenza di concezioni e di modelli di segno diverso rispetto a quello appunto materialista e meccanicista.

E vengo al punto relativo alla sperimentazione sugli animali, per dire che io non ritengo che su questo ci si debba pronunciare sulla base di un riconoscimento di diritti degli animali. Penso piuttosto che si debba parlare e, per lo meno questo è quello che io sento, di un dovere, dei doveri nei confronti degli animali e in questa dimensione poi entra in campo il principio di tutela che, se volete, è anche più forte e più stringente dello stesso concetto di diritto. Quindi innanzitutto questo, ma poi la mia critica di fondo alla sperimentazione animale, e poi ben vengano tutte le regolamentazioni e le alternative possibili alla sperimentazione, in realtà nasce da una convinzione per cui la malattia è in realtà parte di noi stessi ed è generata dalla nostra singolarità del nostro essere più profondo, per cui ciascuno si ammala in un modo suo particolare, personale e quindi esiste un’individualità della malattia, un’individualità morbosa di ciascuna persona che di per sé è irripetibile e di fronte a questa mia personale convinzione, io trovo che se è già difficile ritenere ciò che abbiamo sperimentato su un individuo possa funzionare su tutti gli individui della stessa specie, mi pare illusorio e anche concettualmente sbagliato pensare che ciò che abbiamo sperimentato su una specie vivente di un certo tipo poi possa valere addirittura per un’altra specie vivente.

Chiudo con una considerazione, scusatemi, pensavo di essere più breve, comunque che se aveva senso in quella che è la preistoria della ricerca scientifica, la sperimentazione sugli animali, nella storia di oggi, nella storia contemporanea, io credo che l’interesse debba essere rivolto alle alternative e quindi capire quanto si investe, quanto tempo, quanta energia si dedica ai possibili modelli alternativi rispetto alla sperimentazione sugli animali e credo che, io ho apprezzato la dichiarazione che Filomena insieme a Marco Cappato avevano fatto alcuni mesi fa su questa questione, di sostanziale apertura, perché penso che sia proprio dell’Associazione ricercare, continuare a ricercare anche per garantire il ricorso a metodi alternativi all’uso di animali a fini scientifici. Io non vorrei che il dire “intanto questo non è possibile” costituisca una forma di rinvio un po’ come sulla moratoria: Lo faremo poi, lo faremo poi, lo faremo poi, ma quel “poi” si stava traducendo di fatto in un “mai”. Quindi queste sono le mie ragioni di contrarietà alla sperimentazione animale, io mi auguro che l’Associazione Coscioni voglia continuare a mantenere un’apertura rispetto ad altre forme di ricerca ed anzi prema verso ciò che viene definito alternativa possibile, ma forse è ancora più alla portata di quanto pensiamo. Grazie davvero per l’attenzione.