Meno divieti per le coppie. La legge 40 riscritta dai giudici

Corriere della Sera
Ripamonti Luigi

Giovedì scorso il tribunale di Cagliari ha disposto che una struttura pubblica 
assicurasse diagnosi preimpianto e analisi genetica a una coppia fertile che ne aveva fatto richiesta, perché portatrice di una malattia genetica trasmissibile. 
Si tratta dell’ennesimo intervento di un tribunale sulla legge 40, che regola la procreazione medicalmente assistita in Italia. Proviamo a ripercorrere la storia delle sentenze (in tutto 19) e delle disposizioni più importanti successive alla promulgazione della legge. La legge 40 entra in vigore il 10 marzo 2004 e nel luglio 2004 vengono emanate le sue prime linee-guida. Pochi mesi dopo Radicali Italiani e Associazione Luca Coscioni avviano una raccolta di firme per un referendum abrogativo totale, poi trasformato in quattro quesiti referendari, confluiti nella consultazione del giugno 2005, con esito negativo per mancato raggiungimento del quorum. La prima sentenza che chiama in causa la legge 40 è del giugno 2004, e arriva proprio dal tribunale di Cagliari. Il giudice consente una «riduzione embrionaria» per possibili rischi, in caso di gravidanza plurima, per la donna che ne aveva fatto richiesta, nonostante la legge 40 prevedesse fossero sempre impiantati in utero tutti gli embrioni prodotti con la fecondazione assistita (comunque non più di 3). II tribunale di Cagliari, nel settembre 2007, interviene di nuovo, stavolta sulle linee-guida della legge 40, che prevedevano che l’unica indagine possibile sull’embrione fosse di tipo osservazionale, cioè senza biopsia sull’embrione. Il giudice «disapplica» le linee guida in quanto atto di rango inferiore rispetto alla legge, e permette la diagnosi preimpianto come richiesta, rifacendosi al fatto che la legge 4o prevede che la coppia possa chiedere di conoscere lo stato di salute dell’embrione (articolo 14, comma 5) e che possano essere effettuate indagini diagnostiche senza finalità eugenetica. La decisione del tribunale di Cagliari viene seguita da una analoga del tribunale di Firenze e nel gennaio 2008 il Tar del Lazio annulla la parte delle linee guida che prevedeva come unica indagine quella osservazionale (cioè senza biopsia). In recepimento a questa decisione del Tar del Lazio vengono emanate, sempre nel 2008, nuove linee-guida, a firma del ministro Livia Turco. In via incidentale, il Tar del Lazio, con la medesima sentenza, solleva anche una questione di legittimità costituzionale della legge 40 nella parte in cui prevede il limite di fecondazione con tre ovociti e l’obbligo di contemporaneo impianto degli embrioni prodotti per contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione. Questo incidente di costituzionalità, seguito da altri due, sollevati dal tribunale di Firenze, porta la legge 40 davanti alla Corte Costituzionale, la quale, il 1° aprile 2009, la dichiara incostituzionale nelle parti in questione, cancellando il limite dei tre ovociti e l’obbligo di unico e contemporaneo impianto in utero di tutti gli embrioni prodotti. La sentenza è anche «additiva» e «interpretativa» della legge 40, perché i giudici, consapevoli che si potranno creare più embrioni rispetto a quelli che verranno impiantati, di fatto, sanciscono la possibilità che gli embrioni in, sovrannumero possano essere cetoconservati. Mentre i tribunali avevano solo stabilito la liceità della diagnosi preimpianto per le coppie che avevano fatto ricorso, con l’intervento della Corte Costituzionale la diagnosi preimpianto è diventata possibile in tutte le strutture abilitate alla procreazione medicalmente assistita. Sulla diagnosi preimpianto insistono poi nuove sentenze (Bologna nel 2009 e Salerno nel 2010), aprendone la possibilità anche alla coppie fertili. Infatti la legge 40 esclude dalla fecondazione assistita le coppie fertili, anche se portatrici di difetti genetici trasmissibili. I giudici, in sostanza, decidono di equiparare la diagnosi preimpianto alla diagnosi prenatale, anticipando di fatto, la diagnosi che sarebbe stata eventualmente eseguita durante la gravidanza (con amniocentesi o esame dei villi coriali). Anche in questo caso, però, le decisioni dei tribunali valgono solo per le coppie che avevano presentato ricorso. Il panorama cambia il 28 agosto 2012, quando la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per violazione dell’articolo 8 della Carta europea dei diritti dell’uomo sullo stesso tema, in quanto l’esclusione delle coppie fertili dalla diagnosi preimpianto si configurerebbe come discriminazione. Provenendo da questa Corte, la sentenza obbliga lo Stato al rispetto degli Organi comunitari e quindi ha valore per tutti. La decisione, tuttavia, non è ancora definitiva, perché il governo può proporre ricorso entro fine novembre. La diagnosi preimpianto, dopo questi interventi, può essere eseguita in tutti i centri italiani autorizzati alla fecondazione assistita. I centri pubblici di fatto però, spesso, non la eseguono. L’ultima sentenza del tribunale di Cagliari cui si faceva cenno all’inizio, ribadisce invece che tutti gli ospedali pubblici debbono attrezzarsi per eseguirla. In sintesi, rispetto all’emanazione della legge 40 ora è lecita la diagnosi preimpianto, che, su richiesta, deve essere eseguita anche nelle strutture pubbliche, anche a coppie fertili che abbiano malattie genetiche trasmissibili, inoltre è possibile produrre più di tre embrioni e non impiantarli tutti contemporaneamente in utero, crioconservando quelli non impiantati. Rimane invece il divieto di fecondazione eterologa.