Ancora una volta ci guida questo slogan “Dal corpo dei malati al cuore della politica”. E’ un metodo, più che uno slogan, che ci ha guidato in tutti questi anni: partire dalle esigenze vere e reali delle persone per arrivare a leggi e regole che garantiscano libertà e scelta di ciascuno.

Questo metodo può essere declinato nelle situazioni più diverse e, in effetti, è stato praticato molte volte nella storia radicale. Per il divorzio, si potrebbe dire dal corpo dei separati a una legge che consenta nuove famiglie; per l’aborto, dal corpo delle donne, a una legge, la 194, per consentire libertà e decisione autonoma sulla maternità voluta; e così via sul finanziamento pubblico e su tante altre battaglie sino all’odierna battaglia sulle carceri e sulla giustizia, per la quale si potrebbe dire dal corpo dei detenuti, al cuore della giustizia e della Repubblica.

Alcune di queste storie e battaglie, vecchie e attuali, sono state accompagnate, peraltro, anche da mobilitazioni e coinvolgimenti di centinaia di migliaia di persone, a volte anche milioni di cittadini, verso i quali i partiti tradizionali avevano un certo timore oppure non sufficiente coraggio per parlare, diciamo, a viso aperto. Aborto, divorzio e, in questa fase, eutanasia e altro.

In proposito mi sono chiesto come mai dal corpo dei malati al cuore della politica, una battaglia d’affermazione della libertà di scelta e di cura che è sancita dalla Costituzione, stenti a tradursi a livello di partecipazione di milioni, centinaia di migliaia, di cittadini. Eppure sono 10 milioni i ricoveri ospedalieri ogni anno in Italia; i malati cronici sono in fortissima crescita in tutti i paesi industrializzati e l’Italia ha un tasso di invecchiamento molto alto; milioni sono le persone con disabilità di varia natura, etc. I motivi naturalmente possono essere tanti. Il primo è sicuramente la condizione di dispersione e di isolamento dei più fragili che sono soggetto e oggetto di questa battaglia. In questa battaglia dal corpo dei malati al cuore della politica sono assenti le potenze sindacali tradizionali: i malati non hanno neanche la possibilità fisica di salire su qualche ciminiera, possono occupare solo il proprio letto, a volte possono occupare solo il proprio corpo, e quindi è chiaro che tutte queste condizioni sono sufficienti a fornire una spiegazione.

Ma anche altri motivi sono presenti e in particolare due, a mio avviso, vanno indagati e evidenziati. Il primo è la confusione culturale e informativa tra salute e sanità, il secondo è lo stato di occupazione della sanità, e di tutte le risorse che ad essa sono collegate, da parte di questo sistema dei partiti.

Il primo motivo, la confusione culturale tra sanità e salute, è un fatto da noi denunciato da anni. La sanità è solo uno strumento per la salute, neanche il principale, e tutti gli studi internazionali affermano che i determinanti della salute sono soprattutto altri quali: lo stile di vita, il patrimonio genetico, l’ambiente, la situazione economico-sociale; certamente ad essi si aggiunge la sanità, e il suo peso sulla salute è importante ma minore rispetto agli altri. Ciò è riconosciuto a livello internazionale, non è una invenzione mia né nostra.

Non è invece conosciuto ai più che spendere molto in sanità non vuol dire ottenere più salute.

Nel caso dei paesi sviluppati il fenomeno è chiarissimo: ci sono paesi che spendono per la sanità (in percentuale sul PIL o in valore pro capite) 3-4 volte di altri ma che ottengono valori di salute più bassi o uguali agli altri. Le evidenze mostrano che non esistono motivi legati alla salute per affermare che in un paese sviluppato e avanzato come l’Italia sia necessario aumentare la spesa sanitaria. Anzi ci sono dei motivi per dire che in termini di risultati di salute l’attuale spesa sanitaria è forse anche troppa; l’Italia spende circa il 9,5% del PIL per la salute, per la giustizia spende circa l’1%, per la ricerca forse anche meno, per la difesa circa l’1,1%; fra i settori principali la sanità è la spesa maggiore ed è in media con quella dei principali paesi sviluppati.

C’è invece in Italia un deficit di modalità di spesa e una sua cattiva allocazione; anche perché spesso la spesa sanitaria non è legata ad esigenze di salute ma ad altro, come il consenso elettorale, le corporazioni, interessi interni, etc.

Dunque questa confusione culturale e di interessi tra sanità e salute serve per mantenere l’attuale situazione così com’è, impedendo modifiche basate esclusivamente su valutazioni in termini di salute.

La tecnica della confusione culturale, in questo caso sanità-salute, non è nuova e altri esempi possono essere citati. Ad esempio, nella storia di questo paese il problema del Sud si è confuso, per un lungo periodo con la Cassa del Mezzogiorno, confusione che ha portato a disastri in termini di risultati per il Sud e in termini economico-finanziari per lo Stato. La Rai viene confusa con l’informazione o definita Servizio Pubblico: una cosa che grida vendetta, palesemente contraria alla realtà e mirante a mantenere un Servizio Privato per partiti e gruppi di potere. Altra confusione è quella tra enti pubblici, anche i più disastrati e inefficienti, e interesse pubblico. Tutte queste confusioni servono più che altro a fossilizzare le situazioni così come sono: chi paga tali confusioni è in definitiva l’utente e il cittadino, sia in termini economici che in termini di libertà e di diritti.

Il secondo motivo è l’occupazione partitica della sanità che, peraltro, non è un fenomeno recente. Sono forse recenti le caratteristiche di voracità, di dimensioni e una certa leggerezza, spensieratezza, quasi allegria che accompagna attualmente l’occupazione partitica della sanità, ma sicuramente non è recente il dato di fondo.

Le Mutue nascono con il fascismo, ma poi negli anni ’60 sono controllate dalla Democrazia Cristiana e si trasformano in centro di potere e di consenso elettorale forte; poi con i primi Governi di centro-sinistra l’ occupazione diventa più “democratica”; non c’è solo la Democrazia Cristiana, ci sono anche gli altri partiti.

Il perfezionamento della democraticità dell’occupazione avviene con i governi d’Unità Nazionale: sono tutti presenti; anche il PCI e il Movimento Sociale partecipano attivamente all’orgia di occupazione delle USL, perché lì l’arco costituzionale viene interpretato in modo allargato. C’era, al solito, una eccezione (i Radicali) ma questo lo sappiamo. Nel 1978 si è approvata la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale che ha portato questa spartizione a livello dei Comuni: erano i Comuni, infatti, tramite i consigli comunali, a nominare i comitati di gestione delle USL, che controllavano così anche tutte le strutture ospedaliere.

Successivamente, con la riforma della sanità degli anni ’90, che per altri aspetti è una buona riforma, quest’occupazione viene trasferita a livello delle Regioni. Si passa da un’occupazione un che accontentava un po’ tutti, a forme di occupazione e spartizione più efficienti: si introducono i Direttori Generali delle aziende ospedaliere (concetto che in sé potrebbe essere teoricamente giusto) che diventano però i veri segretari di partito locali delle varie maggioranze, destra o sinistra a seconda delle Regioni e del tempo.

Naturalmente, c’è chi è più efficiente degli altri e in questo, devo dire, Formigoni va rispettato, compreso e apprezzato per la chiarezza. Riporto la dichiarazione dell’assessore alla sanità della Lombardia del 12 dicembre 2010 che perfettamente sintetizza la situazione affermando: “La logica nella nomina dei direttori generali di ASL e ospedali è fondamentalmente legata al peso del voto espresso dalla popolazione. Le proporzioni saranno pesate sul volume di preferenze ottenute dagli alleati”. E’ perfetto, emerge la formula, la proverbiale efficienza lombarda. C’è un altro esempio di efficienza lombarda di Formigoni ed è la legge della regione Lombardia (ogni regione deve approvare una propria legge attuativa) per nominare i direttori generali degli ospedali e delle ASL. La regione Lombardia, che come il solito è più avanti degli altri, ha approvato una legge nel 2009 che inserisce come titolo idoneo per essere nominati Direttore Generale l’essere stato consigliere regionale o aver svolto altra carica istituzionale. Cosa significa questo? Che la Minetti ha tutti i titoli per essere nominata Direttore Generale dell’ospedale di Niguarda o di qualsiasi altra struttura! Non ce l’ho con la Minetti ma con una situazione che consente di passare impunemente dall’illegalità-falsità delle firme per inserirla nel listino, alla “legalità” di un meccanismo di nomina in base ad una legge che teorizza l’occupazione partitica della sanità.

Non mancano, naturalmente, altri esempi di invenzione o comunque di raffinatezza e di efficienza nell’occupazione sanitaria di Formigoni, che sicuramente avete letto anche su tutti i giornali: mentre l’ultima riforma sanitaria del ’92-’93 stabilisce che alle strutture sanitarie sono pagate le prestazioni effettivamente erogate ai cittadini, secondo un tariffario (il famoso DRG), Formigoni supera questa difficoltà e aggiunge anche un altro sistema in base al quale le aziende amiche ricevono di più su base discrezionale. Non tutto viene tariffato in modo trasparente con il DRG della legge, ma a parte ci sono settori (definiti molto vagamente) per centinaia di milioni di euro l’anno che Formigoni finanzia in modo discrezionale. A fianco del sistema legale introdotto dalla riforma, è dunque istituito in Lombardia un altro sistema parallelo, che si può così sintetizzare “ mi riservo una fetta consistente di finanziamenti che decido come voglio secondo le convenienze mie e dei miei amici”.

L’occupazione della sanità (che diventa a questo punto sanitocrazia) a fini elettorali, di potere e di finanziamento da parte della partitocrazia, di gruppi o interessi che poco hanno a che fare con la salute è dunque a mio parere il secondo motivo per il quale la battaglia dal corpo dei malati al cuore della politica è particolarmente difficile.

La sanità è sicuramente importante per la salute, nessuno sostiene il contrario, ma le politiche di fondo non tengono conto principalmente della salute ma degli altri fattori che rammentavo. Quali conseguenze sulle persone ha quest’occupazione, questa trasformazione della sanità in sanitocrazia?

La prima conseguenza è l’emarginazione, la disinformazione, la limitazione della libertà di scelta e la diffusione dell’illegalità, ormai diventata normale. Non so se è giusto continuare a chiamarla illegalità o se invece va trovata altra definizione lessicale, perché di comportamenti illegali si dovrebbe parlare se costituiscono l’eccezione, ma se essi sono diffusi con lo stessa frequenza e normalità della legalità è difficile individuare cosa sia eccezione e cosa norma.

Quali possono essere, vado verso la conclusione, i criteri e gli obiettivi per cercare di scardinare questa situazione in cui i malati, i disabili e i cittadini sono l’anello debole del sistema, che peraltro pagano e finanziano tutto il sistema?

La risposta è nelle iniziative politiche che sono state fatte e in quelle in corso per cercare di cambiare ciascuna delle condizioni di anomalia e illegalità: esse devono tener presente però, a mio avviso, un riferimento generale.

Il riferimento è il percorso virtuoso e alternativo della sequenza valutazione-informazione-libertà di scelta affinché ciascuna persona sia decisore della propria salute.

Se sono disponibili valutazioni indipendenti e se si è informati su tutto e liberamente si può scegliere ciò che ciascuno ritiene meglio e più opportuno per se stesso; ciò diventa allo stesso tempo anche uno strumento di governo per il sistema perché se scelgo un ospedale piuttosto che un altro, un percorso di cura piuttosto che un altro conoscendone la valutazione vera in termini di salute, automaticamente ne determino il successo o il fallimento.

Dunque, valutare per conoscere, conoscere per scegliere, scegliere per influenzare la propria salute e contestualmente il governo dell’intero sistema.

Valutazione indipendente e libertà di scelta permettono di individuare la soluzione più idonea per il proprio problema di salute o la propria disabilità, l’informazione indipendente e accessibile permette di individuare il percorso per raggiungerla.

Una vera politica di salute e di sanità implica una condizione: l’esistenza di centri nazionali di valutazione indipendente sulla reale efficacia delle cure e sulla qualità delle strutture e dei centri sanitari (a questo proposito c’è già stata un’iniziativa radicale del 2009, un ordine del giorno approvato al Senato, che riassumeva sostanzialmente queste cose e soprattutto chiedeva che le valutazioni non fossero segrete, ma uno strumento a disposizione dei malati e dei cittadini). Attualmente, in seguito alle battaglie radicali, è stato ottenuto qualche strumento a livello di Ministero della Salute per misurare e valutare protocolli e strutture, però è una valutazione (parziale) a disposizione solo del mondo interno alla sanità o al ministero. I cittadini non possono accedervi, non la possono usare. Se si riesce a intrufolarsi in qualche crepa informativa si può sbirciare qualche cosa, ma solo per gli addetti ai lavori. Emerge da queste prime valutazioni “segrete” che, ad esempio, esistono 92 strutture con meno di 10 ricoveri l’anno, quindi non si capisce cosa facciano. Al Policlinico Umberto I di Roma, lo stesso intervento si fa in 15 reparti diversi, cioè si seguono meno di 20 ricoveri l’anno, sotto qualsiasi soglia di sicurezza. Oppure, ad esempio, l’ospedale di Carate Brianza si distingue per il minor numero di cesarei, appena il 4%, mentre nelle cliniche Villa Cinzia di Napoli e Mater Dei di Roma la percentuale di cesarei è al 92%. Da questo tipo di valutazioni (ove estese a tutto il sistema sanitario) e dalla loro conoscenza diffusa potrebbe nascere un percorso utile, oltre che necessario, per governare il sistema e per decidere effettivamente e autonomamente sulla propria salute. Ma tali valutazioni sono sinora molto limitate e quasi segrete.

Esiste anche un altro sistema che valuta i sistemi sanitari regionali, anch’esso nascosto e non disponibile se non per chi sa già dove cercarlo: emerge, ad esempio, che la Lombardia di Formigoni non è un’eccellenza, è di buon livello rispetto alla media ma non è l’eccellenza in Italia. Se si osservano i risultati della Puglia di Vendola, così come per le altre regioni del sud, emerge un disastro dal punto di vista gestionale e dei risultati misurabili. Tutte queste valutazioni ed altre ancora dovrebbero essere note e facilmente accessibili, ma non lo sono.

In conclusione, a mio avviso, fra gli obiettivi da individuare e ottenere va la realizzazione di centri nazionali indipendenti di valutazione che permettano il percorso valutazione-informazione-libertà di scelta in maniera semplice accessibile e trasparente.

Nel panorama politico attuale non c’è nulla se non le proposte, le iniziative e le battaglie dei Radicali a tutti i livelli, anche parlamentare. C’è una battaglia che l’Associazione Coscioni ha condotto per prima e da ricordare in particolare: quella sul Nomenclatore tariffario, anch’essa una storia di illegalità che nasce nel 1999. Da 12 anni tutti i ministri della salute e della sanità che si sono alternati sono colpevoli (questa è la parola da usare) tranne uno forse, Livia Turco, che ha provato in effetti ad approvare il nuovo Nomenclatore tariffario ma senza grandi successi e con qualche colpevole ritardo. Il rinnovo del Nomenclatore è un atto doveroso che deve porre fine a un’illegalità di 12 anni, durante i quali malati e disabili non hanno potuto disporre degli strumenti gratuiti di cui avrebbero diritto; la vicenda del Nomenclatore tariffario è un po’ il simbolo dell’illegalità diffusa nel nostro paese.

Infine, c’è un altro problema che purtroppo tutti i partiti, con la solita eccezione, fanno finta di non vedere: il problema dei Commissari presidenti delle Regioni con disavanzo sanitario, dove per risanare lo storico debito e deficit, vengono nominati quelli che forse sono i più responsabili del disastro, cioè i presidenti di Regione. E’ una situazione che grida vendetta e crea 2-3 miliardi di euro di deficit l’anno. A peggiorare la situazione va ricordato che per tamponarla sono distratti fondi destinati ad altro, utilizzando sostanzialmente due canali: uno è l’aumento delle tasse addizionali, irpef, irap per cittadini e imprese, l’altro l’uso distorto dei fondi Fas che dovrebbero essere destinati istituzionalmente a tutt’altro.

Anche questa è una vicenda che vede “soci”, come dice Pannella, partiti e maggioranze da una parte e dall’altra in piena sintonia perché sono protagoniste regioni con giunte di diverso colore nel tempo e nello spazio (Lazio, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia,..).

Dunque tutte queste situazioni devono costituire oggetto di iniziative e lotte politiche. Non so quali nuovi strumenti politici, oltre ai tradizionali e a quelli nonviolenti, possano essere i più efficaci. Credo che i successi dell’Associazione Coscioni e soprattutto della Segretaria con il ricorso al canale giudiziario a vari livelli, nazionale e internazionale (altri forse se ne potrebbero aggiungere, ad esempio Corte dei Conti), potrebbero suggerirci di applicarlo anche nelle situazioni prima descritte.

Grazie.