Fecondazione assistita, legge 40 bocciata dalla Corte europea dei diritti umani

Corriere della Sera

Strasburgo accoglie il ricorso di una coppia italiana che potrà accedere alla diagnosi embrionale. Contraria Scienza e Vita

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La legge 40 del 2004, quella che regola la procreazione medicalmente assistita, viola la Convenzione europea sui diritti umani. Lo stabilisce una sentenza della Corte di Strasburgo, che ha dato ragione a una coppia italiana portatrice sana di fibrosi cistica. In particolare, la Corte europea dei diritti umani ha bocciato l’impossibilità per la coppia (fertile) di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni.

INCOERENTE – Secondo i giudici, la cui decisione diverrà definitiva entro tre mesi se nessuna delle parti farà ricorso, «il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente» in quanto un’altra legge permette di accedere all’aborto terapeutico se il feto è malato di fibrosi cistica. La Corte ha quindi stabilito che la legge 40 viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare di Rosetta Costa e Walter Pavan, cui lo Stato dovrà versare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali. Nel 2006 i due coniugi hanno avuto una bambina con la fibrosi cistica: allora hanno scoperto di essere portatori sani della malattia. Quando la donna è nuovamente rimasta incinta, nel 2010, si è sottoposta alla diagnosi prenatale e il feto è risultato positivo alla malattia: quindi ha abortito. La coppia ora vuole un altro bambino, ma con la certezza che sia sano. Il che è possibile solo con la screening.

RICORSO – Più di un anno fa dunque Costa e Pavan hanno presentato ricorso alla Corte di Strasburgo: la fibrosi cistica è una malattia genetica che si trasmette in un caso su quattro al nascituro, e i due vogliono ricorrere alla fertilizzazione in vitro (FIVET). La legge 40 non lo consente, perché la pratica è riservata alle coppie sterili o a quelle in cui il partner maschile abbia una malattia sessualmente trasmissibile, come l’Aids e l’epatite B e C. La coppia ha quindi sostenuto nel ricorso che la legge viola il suo diritto alla vita privata e familiare e quello a non essere discriminata rispetto ad altre coppie, in base agli articoli 8 e 14 della Convenzione.

ARTICOLO 8 – Proprio all’articolo 8 i giudici di Strasburgo hanno fatto riferimento nella sentenza: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare». Un anno fa, nel comunicato con cui aveva reso noto di aver accolto il ricorso, la Corte sottolineava come coppie nella stessa situazione possano già ricorrere alla fertilizzazione in vitro (e quindi allo screening)in 15 Paesi europei. Ora i giudici ribadiscono che il no alla diagnosi preimpianto è previsto, in Europa, solo in Italia, Austria e Svizzera. Costa e Pavan non sono l’unica coppia che si batte per ottenere questo diritto. A gennaio 2010, per la prima volta, il Tribunale di Salerno ha autorizzato due aspiranti genitori, portatori sani di atrofia muscolare, a sottoporsi al test.

GLI ARTICOLI – La Corte di Strasburgo ha bocciato di fatto gli articoli 13 e 4 della legge 40 sulla procreazione medica assistita. Il 13 è l’articolo che vieta «qualsiasi sperimentazione su embrione umano», mentre il 4 sostiene che la pratica è consentita solo alle coppie sterili: «Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico».

IL COMMENTO DEL MINISTRO – La questione della compatibilità tra legge 40 e legge 194 sollevata dalla Corte di Strasburgo è «un problema già noto», ma «aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza» ha commentato il ministro della Salute Renato Balduzzi sottolineando che in ogni caso «una riflessione va affrontata». La riflessione «deve partire dal bilanciamento dei principi: sono beni da tutelare la soggettività giuridica dell’embrione così come la salute della madre. In questa materia bisogna capire quali siano i beni da tutelare e tenere conto di tutti i valori in gioco, tra cui la soggettività giuridica dell’embrione».

«DURO COLPO» – «È una vittoria importantissima che dà un duro colpo all’impianto proibizionistico della legge italiana sulla fecondazione assistita» secondo Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni. «Della legge rimane ora solo il divieto per l’utilizzo degli embrioni a fini di ricerca scientifica – commenta Maria Antonietta Farina Coscioni (moglie di Luca Coscioni, morto di sclerosi laterale amiotrofica nel 2006) -. Toccherà al nuovo Parlamento predisporre e votare una legge che sia finalmente rispondente al comune sentire». Il ginecologo Carlo Flamigni, "padre" della fecondazione assistita e componente del Comitato Nazionale di Bioetica, parla di «ottima notizia: della legge 40 restano solo alcuni scheletri nell’armadio». Sulla stessa linea Ignazio Marino (Pd), presidente della Commissione d’inchiesta sul Ssn: «La decisione di Strasburgo ci indica la via: riscrivere completamente la legge 40. Ritengo vada tenuta presente la strada indicata dalla Gran Bretagna, che ha costituito nel 1991 un organismo chiamato Human Fertilisation and Embryology Authority, per regolare il settore, autorizzare i trattamenti, fornire le linee guida e i codici di comportamento agli ospedali che si occupano di fecondazione assistita. Un organismo tecnico, slegato dall’ideologia». Nettamente contraria Eugenia Roccella (Pdl), redattrice delle linee guida sulla legge 40, non ancora emanate: «Siamo certi che il nostro governo saprà difendere anche in questo caso le leggi votate dal Parlamento, e che presenti il ricorso alla Grande Chambre». In difesa della legge si è schierata anche «Scienza e Vita», il coordinamento delle associazioni cattoliche nato nel 2005 per sostenere il provvedimento: «La legge 40 non è una legge né ideologica né confessionale – dice una loro nota -, ma pensata per la tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, ivi compresi quelli del concepito».

EUGENETICA – Eleonora Porcu, Responsabile del Centro di Infertilità e Procreazione Medicalmente Assistita dell’Università di Bologna, sottolinea invece che sarà molto difficile che la sentenza abbia un effetto immediato sulle pratiche nelle cliniche italiane per la fecondazione, che sarebbero comunque tecnicamente pronte a riprendere la diagnosi preimpianto. Ma Porcu non è d’accordo con l’enunciato della sentenza: «La legge 40 e quella sull’aborto sono due leggi diverse: una cosa è pianificare a tavolino una gravidanza, decidendo deliberatamente quale embrione far nascere e quale no, un’altra è l’accettazione o meno di una gravidanza già in atto. Dal mio punto di vista non c’è contraddizione. Anche decidere quando una diagnosi preimpianto è finalizzata alla salute dell’embrione e quando è invece eugenetica è molto difficile. Prendiamo la sindrome di Down: sappiamo che il bambino avrà molti problemi durante la vita, ma chi decide se è un motivo sufficiente per scartare l’embrione?».

POCHI CASI – Secondo il ginecologo Severino Antinori, primo a fare ricorso contro la legge 40 pochi giorni dopo la sua approvazione, le accuse di eugenetica non stanno in piedi: «Facciamo questa analisi solo per 15-20 patologie gravi, dalla fibrosi cistica all’anemia mediterranea, per fare in modo che non vengano trasmesse dai genitori. Non è che ci mettiamo a vedere se il bambino è biondo: è fuori dal mondo affermare che questa sia eugenetica».